BERLINO — Quando a Stoccolma le mostrano lo screenshot che riporta i nuovi insulti di Andrea Delmastro al Pd, Giorgia Meloni vacilla. Sembra un incubo. Si fa mandare il testo integrale dell’intervista. Da giorni, ostinatamente, difende il suo sottosegretario. Garantisce copertura politica agli affondi di Giovanni Donzelli. È arrivata a urlare durante una riunione con Carlo Nordio e il suo staff, in nome di un principio: «I miei uomini non si toccano». E non si toccano perché sfilare una carta rischia di far crollare un castello. Ma adesso? Adesso la premier inizia a pensare di dover concedere almeno qualcosa. Lo capisce a Berlino, a un passo da Olaf Scholz, quando le domande della stampa sullo scandalo la inseguono fin dentro la Cancelleria. Parlerà, per provare a rompere l’assedio. Attraverso un video, anche se forse con un format diverso rispetto agli “Appunti di Giorgia”. Un messaggio da diffondere oggi. «Serve un segnale», ha confidato ai suoi. Due le opzioni più gettonate: una sottrazione di deleghe a Delmastro – o uno scambio di competenze con un altro vice di Nordio – oppure il congelamento della sua posizione (e di quella di Donzelli) in attesa del gran giurì della Camera o di eventuali notizie dell’inchiesta aperta in Procura.
È l’ultimo tentativo di rompere senza rompere con la sua gente. Di provare a contenere una dinamica ormai sfuggita di mano. Ritiene che anche il Colle osservi con attenzione quanto sta accadendo, che attenda una mossa, un sussulto, anche se la linea ufficiale di Sergio Mattarella è e resta questa: c’è un’inchiesta in corso, il presidente non interviene. Di certo, Meloni dovrà forzare se stessa per cambiare anche di poco un approccio finora granitico. Che, almeno fino a ieri, ha consigliato silenzi capaci di scuotere nel profondo la maggioranza. Con episodi emblematici che, a metterli in fila, mostrano la gravità della situazione.
Il primo si consuma alla Camera, nel giorno in cui Donzelli scivola in Aula sulla rivelazione di notizie che non poteva divulgare. Molti leghisti sono infuriati. Diversi, tra loro, iniziano a lasciare l’Aula. Deve intervenire il capogruppo Riccardo Molinari per fermarli. «Ma dove andate? Qui crolla tutto». Poche ore dopo, entra in scena Delmastro. È il responsabile della fuga di informazioni su un documento sensibile. Il dissenso di Nordio verso il suo vice fatica a restare negli argini. Il ministro vorrebbe prendere le distanze. E invece, sarà costretto a fornire una sostanziale copertura. Glielo impone Meloni, in nome del sostegno ai suoi fedelissimi. Chi invece non si spende per l’alleato è Silvio Berlusconi. Il Cavaliere, anzi, concede un’intervista alGiornale nella quale sceglie di non difendere Delmastro, al pari dell’intera classe dirigente di FI. E riserva la stessa gelida indifferenza a Donzelli. Eppure, Meloni tace. O meglio: parla in tv, due volte, ma ignorando le polemiche. Nel frattempo, i suoi dirigenti continuano a rivendicare in Parlamento e sui giornali la campagna lanciata contro il Pd.
Sono ore complesse. Così delicate che un ministro di peso come Guido Crosetto incrocia alcuni deputati di Forza Italia e si sfoga: «Questi sono fuori di testa, non si può dare dei terroristi all’opposizione». Il fuoco non si spegne. La presidente del Consiglio consulta alcuni alleati nel corso di una riunione. I partner muovono obiezioni, il cui senso è: «Così non reggiamo». Meloni replica con argomenti che, riferiscono, scavano un nuovo solco: «Non mi avete mai difesa quando attaccavano me e la mia famiglia in campagna elettorale. E ore noi attacchiamo l’opposizione ». A quel punto fanno notare alla premier che sono state pronunciate parole più che scivolose: «State dando al Pd degli amici della mafia e del terrorismo…». Niente, non basta. Meloni non arretra di un millimetro: «Per cinquant’anni ci hanno accusati di essere fuori dall’arco costituzionale e ora non possiamo dire quello che stiamo sostenendo?». Altre crepe. Che lambiscono settori di Fratelli d’Italia, quelli che non vantano un certificato di nascita nel Movimento sociale. E che coinvolgono pure leghisti e azzurri, che adesso lamentano: sta portando avanti una difesa «quasi tribale» della sua gente. Nulla, però, la frena. E anzi, trova nuovo slancio nel report periodico con cui il partito sonda gli umori sui temi d’attualità. Gli italiani, c’è scritto, hanno percepito poco o nulla di questa vicenda, se non che la sinistra avrebbe intenzione di abolire il 41 bis (circostanza falsa) e la destra intenderebbe invece mantenerlo. Di più: dopo tre settimane consecutive in cui è stato registrato un calo nei sondaggi – in seguito al pasticcio sulle accise – sarebbe in corso un recupero di consenso. Anche per questo, e in vista dell’imminente voto in Lazio e Lombardia, la leader terrebbe alta la polemica sul 41 bis. Con lo stesso obiettivo – lucrare voti – Matteo Salvini avrebbe deciso di fornire copertura all’alleata. Fino a ieri. Al viaggio a Berlino. All’ultima uscita scomposta di Delmastro. Ai tormenti di Meloni. Alla tentazione di dare un segnale. All’appello all’unità contro la minaccia anarchica, pronunciata sotto lo sguardo severo nei ritratti di Kohl e Adenauer, elogio di una stabilità politica che la premier inizia già a invidiare.