L’Italia è «il campo di battaglia fra democrazia e sovranismo», ha scritto il direttore di Repubblica Maurizio Molinari (8 giugno), a questo aveva dedicato un libro due anni fa. Per più di un decennio è stato vero, oggi non più. Tra il 2011 e il 2022 in Europa le forze populiste e sovraniste hanno sottoposto a un doppio attacco le due principali famiglie del dopoguerra, i cristiano-democratici e i socialdemocratici. In nome della rivolta dal basso contro le élite, hanno strappato ai socialisti il tradizionale radicamento sociale: i quartieri operai, le periferie delle metropoli, i dipendenti pubblici. E poi hanno mosso alla conquista del centrodestra, reclamando una identità più radicale rispetto alle vecchie leadership, considerate troppo moderate.
In Italia il grande cambiamento si è abbattuto su un sistema politico in crisi dal 1992-93, o meglio dagli anni Settanta. Si è alimentato di un mantra ossessivo: la destra e la sinistra sono finite, non ci sono più. Su questo i due fronti hanno marciato uniti.
I democratici hanno identificato la difesa della democrazia con il mero rispetto delle regole costituzionali, per i sovranisti-populisti, nel segno dell’anti-politica, tutti i partiti erano uguali (il Pdl e il Pd meno elle, diceva Beppe Grillo). Per dieci anni sono cadute le distinzioni politiche, la sostanza dei rapporti di forza economici e sociali da cambiare. Ci siamo dimenticati che si può essere democratici, ma di destra, e populisti, ma di sinistra.
Oggi i vecchi schieramenti stanno tornando, ma in modo diverso. Giorgia Meloni punta a costruire in Europa una destra allargata e alleata del centro. Lo si è visto domenica, con il viaggio in Tunisia del tandem Meloni-von der Leyen. Nel 2016 fu Angela Merkel a stipulare il patto con il presidente turco Erdogan sulla pelle dei migranti siriani, costato all’Unione sei miliardi di euro, denunciato da tutte le organizzazioni internazionali per lo sprezzo dei diritti umani, oggi la premier italiana ambisce a firmare un accordo anti-migranti con il tunisino Kaïs Saïed, artefice di una svolta autoritaria.
Se tornano destra e sinistra, tornerà anche il centro, e questo spiega più di tanti personalismi la sofferenza di tanti nel Pd. Un partito che per un decennio si è appagato di proporsi come argine all’antipolitica, fino a incarnare il sistema in ogni sua piega di governo e di sottogoverno, senza mai preoccuparsi di definire se stesso e una proposta per gli elettori. Oggi non basta più.
È una sfida per la segreteria di Elly Schlein, il progetto di una nuova sinistra, ma anche per i suoi oppositori, che lunedì in direzione (forse) daranno battaglia. Se non si sentono più a casa nel Pd devono dire anche chi sono, un generico riformismo non basta più. Per poi magari concludere che è meglio per tutti separarsi, marciare divisi e colpire uniti, invece dell’opposto.