Lo Stato alle Vele di Scampia non c’è, non c’è mai stato. Questa è la cronaca di una tragedia annunciata. Mentre a meno di un chilometro abbiamo festeggiato per l’apertura dell’Università a Scampia, ci siamo dimenticati dei bambini delle Vele che vivono in condizioni da terzo mondo.
Mi chiedo sempre perché la gente, le famiglie vivono in quelle condizioni, perché accettano di vivere in quel modo? Per il “ricatto” di una casa dignitosa. Vuoi la casa? Vuoi rimanere in graduatoria? Allora devi restare in un palazzo ultimato nel 1975, che ha quasi 50 anni e da mezzo secolo non riceve manutenzione. Gli ultimi, quelli che non hanno niente, quelli che nemmeno i riflettori della serie Gomorra ha salvato, devono vivere in un palazzo di 14 piani senza ascensore, dove fili dell’elettricità abusivi corrono a fianco a tubi dell’acqua. Dove una volta sì e l’altra pure gli scarichi fognari incontrano la corrente e scoppia tutto.
Ci siamo abituati all’idea che dei bambini possano vivere in una discarica, dove basta una sigaretta per generare incendi. È successo a maggio di quest’anno ed era già successo nell’agosto del 2023. Che cittadini sono quelli che vivono in mezzo ai topi, ratti che rosicchiano fili della corrente lasciando centinaia di persone senza elettricità in pieno inverno (per molti elettricità vuol dire riscaldamento)? Era successo nel 2019.
Sono bambini quelli che sognano una cameretta senza umidità? Sono bambini quelli che pur di avere una casa hanno abitato per mesi a 300 metri in linea d’aria dal cantiere della Vela che veniva rosicchiata da speciali macchinari? Hanno respirato polvere e calcinacci.
E ora, in piena estate, con due morti a terra, e bambini in condizioni gravi, cosa faranno gli 800 abitanti delle Vele? Dove andranno? Pare che il Comune abbia chiesto aiuto agli istituti scolastici. Dormiranno nelle scuole. Siamo il Paese che spende mezzo milione per ilcompleanno della Loren e permette agli scamazzati di Scampia di dormire dentro una scuola. Non è bastata la camorra, le file dei tossici che si bucavano dove giocavano i bambini, i topi nelle culle dei neonati, ora crollano anche i ballatoi, fatti di cemento e ferro. Ferro arrugginito, cemento che cede senza manutenzione.
Sarà la magistratura ad accertare i colpevoli, ma lo Stato ha già perso. Lo Stato ha condannato questi cittadini di Napoli, della terza città d’Italia, piena di turisti, regno delle friggitorie, celebrata dal Times, alla solitudine. Ci si mette anche il governo, che a luglio del 2023 aveva tagliato i fondi del Pnrr per l’abbattimento delle restanti Vele. E pensare che la Vela Celeste deve essere l’unica a restare in piedi, dicevano che era quella meglio messa.
Sono 30 anni che diciamo le stesse cose. Ora ci sarà il lutto cittadino, ci saranno le tv, poi il tempo passerà e gli ultimi torneranno ed essere ultimissimi, torneranno a vivere nella munnezza, col semplice sogno di una cameretta senza muffa.
Napoli finisce a Capodimonte, si ferma ai quadri di Caravaggio appesi alla reggia borbonica. Dopo la collina il vuoto. La storia non vi assolverà. Non vi assolveranno i cittadini che occupano il Comune e l’Università pur di farsi sentire. Non vi assolverà Ivan, abitante di due sgarrupate stanze delle Vele, tetraplegico, morto a 21 anni nel 2015, che ha vissuto in un palazzo con tutte le barriere architettoniche del mondo.
Se in Giappone impiegano 3 giorni per costruire un ponte, in Cina 1 notte per una strada, a New York un clic per abbattere un grattacielo, noi siamo quel Paese che impiega 30 anni per buttar giù 6 palazzi. A chi non c’è più, a chi ancora vivrà in queste condizioni, ai bambini che stanotte dormiranno sotto una tenda, possiamo solo chiedere perdono.