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30 Giugno 2022Crocevia Nel 2025 la città sull’Isonzo sarà Capitale della cultura dell’Ue insieme alla gemella slovena Nova Gorica.nUna vocazione eclettica che ha prodotto letteratura e filosofia, dialogo e conflitti
di Claudio Magris
I confini dividono o uniscono?
Certo, anzitutto separano, specialmente in epoche di grandi tensioni politiche, nazionali, economiche, per non parlare dei tempi di guerra. Confini all’interno di uno Stato, di una regione o di una città, che può spezzarsi in due, duramente separate o contrapposte come la/e Berlino del Muro o la Gorizia affiancata e implicitamente contestata dalla Nova Gorica dopo la Seconda guerra mondiale. La Storia divide ma anche unisce; nel 2025 queste due città diventeranno Capitale europea della cultura.
I territori contesi fra Stati diversi o passati dall’uno all’altro non per loro volontà ma per decisione o imposizione esterna coltivano talora un risentimento non solo nei confronti di chi ha loro imposto tale appartenenza ma anche nei confronti della propria identità, tutelata da norme e garanzie che essi giudicano insufficienti e artefatte, fautrici di un nazionalismo più di facciata che di autentica sostanza. Si pensi alle critiche di numerosi scrittori del Südtirol – Alto Adige, scrittori di lingua e di nazionalità tedesca che vorrebbero vivere in un mondo tedesco ma diverso.
Gli Stati e le città hanno e hanno spesso avuto molti nomi, contrastanti o solidali. La città che ora diverrà Capitale europea della cultura è erede pure della Contea Principesca di Gorizia e Gradisca. Il suo confine sbarra ma anche include altre realtà politiche e culturali — confine un tempo tra vecchia Austria imperiale e Regno di un’Italia da poco unita, dopo la Prima guerra mondiale fra Italia e Jugoslavia nelle sue varie realtà politiche e nei suoi vari nomi; poi fra mondo comunista e democrazia occidentale, poi ancora fra Tito e Stalin.
Gorizia absburgica che gli irredentisti italiani volevano italiana e da cui partivano soldati che si sarebbero massacrati a vicenda. Di alcuni di questi fratelli che avevano magari giocato insieme nelle strade di Gorizia e poco dopo sono stati spinti dalla Storia a spararsi addosso si sa che, da una parte e dall’altra, attraverso comuni amici che vivevano ad esempio in Svizzera, riuscivano ad avere e a dare, con affetto, notizie sulla loro sorte in quell’inferno. Neanche la guerra può soffocare l’umanità, come dimostrano tante poesie nate da quel calvario; ad esempio la lirica di Giulio Camber Barni — dal piglio di canzone popolare — che ripercorre tanti luoghi del Goriziano, pervasa di spirito di sacrificio e di fedeli compagni di destino.
In quale cultura affonda le sue radici questa Capitale culturale d’Europa? Nella vivace e plurima Gorizia fra Otto e Novecento convivevano, prima che i nazionalismi esasperati le mettessero a soqquadro, cultura italiana, slovena, tedesca o austro-tedesca, friulana. Julius Kugy — il nome originario è sloveno, Kogelj — scrive in tedesco mirabili libri sulle Alpi Giulie, da lui scalate e narrate con quel rispetto delle cose, del paesaggio e soprattutto degli uomini che lo abitano che crea ed è cultura.
Lo scontro tra lealismo absburgico e irredentismo italiano e più tardi tra repressione antislava e ritorsione antitaliana ha fatto dimenticare che c’è stato un periodo di diversa civiltà nei rapporti tra italiani e sloveni, quando ad esempio, alla fine del Seicento, la baronessa Maria Isabella Marenzi e la figlia si scrivevano in sloveno. Due secoli più tardi Enrico Mreule, l’amico di Carlo Michelstaedter, imparava lo sloveno giocando con altri ragazzi per le strade, anche se ciò accadeva più di frequente nella valle del Vipacco, dove la conoscenza reciproca delle due lingue era più diffusa.
Montagne e fiumi. L’Isonzo — «il più bel fiume d’Europa» (Kugy). «Verde Isonzo», zeleno modra Soca, scrive il poeta sloveno Simon Gregorcic, «l’usignolo di Gorizia», anche se la guerra farà di quelle acque un fiume di sangue. «Anche verde acqua si chiamava quel colore», scriverà più tardi Marisa Madieri, italiana di Fiume cresciuta in un mondo pure croato e ungherese, rivivendo un’altra tragedia della Storia.
Festa europea, la proclamazione di Gorizia Capitale europea della cultura rende implicitamente omaggio anche alla grande presenza della cultura italiana nella città, che ha avuto pure un’intensa cultura ebraica — gli studi culturali e linguistici del rabbino Samuel Vita Lolli, la grande opera di Graziadio Isaia Ascoli. Ma Gorizia appartiene a livello eccezionale alla cultura poetico-filosofica soprattutto con la tragica personalità di Carlo Michelstaedter, il cui capolavoro La persuasione e la rettorica coglie a fondo l’essenza della vita di sempre e di quella dell’epoca, la necessità e la capacità di viverla senza venire a patti con la sua insolenza, senza cedere perché non è come dovrebbe essere e come quel mare istriano di Salvore promette ed esige che sia. Carlo, il grande risvegliato, potrebbe — dovrebbe? Esiste, in questi casi, un dovere? — essere il Buddha dell’Occidente e della modernità, ma si spara con la pistola che il suo grande amico e discepolo, Enrico Mreule, gli ha lasciato per andare nelle solitudini della pampa, a pascolare mandrie e a leggere e a commentare i classici greci.
A Gorizia sono vissuti altri grandi italiani — come Biagio Marin, Ervino Pocar, traduttore di Thomas Mann, Enrico Rocca, tragica figura di ebreo che, fra i primi a scoprire una peculiarità della letteratura austriaca rispetto a quella tedesca, attraverso la passione patriottica diventa fascista militante e anni dopo, nell’infuriare delle leggi razziali antiebraiche che facevano del suo amato fascismo il suo carnefice, si toglie la vita.
Forse non ci sarebbe oggi questa capitale culturale senza quegli Incontri Mitteleuropei nati e fioriti nella città negli anni Sessanta che riscoprivano una cultura sovranazionale liberandola dalla patina absburgica tradizionale e anticipavano il senso delle più città in una. Quegli incontri, ripetuti con fervore per molti anni, hanno contribuito a creare una nuova e molteplice cultura centroeuropea, una possibilità e una schiettezza di rapporti fra scrittori aldiqua e aldilà della contrapposizione politica. Incontri fra slovacchi, cechi, ungheresi, tedeschi, austriaci, sloveni, italiani e di tanti altri Paesi, alcuni dei quali pochi anni dopo sarebbero divenuti famosi nel mondo e che da parte loro avevano occasione di incontrare a Gorizia quella letteratura di frontiera che proprio in quegli anni veniva scoperta come una grande ricchezza — Rebula, Gradnik, Pregelj, Marin, Rosso, Tomizza, Maurensig, Bettiza, Vegliani e altri ancora.
Ma forse senza la gagliarda capacità di Padre Katunarich di movimentare, con i pochissimi mezzi della sua organizzazione «Stella matutina» tutta quella baraonda, e senza la geniale generosità di Marlies Kufahl, che risolveva tutte le difficoltà con la sua intelligenza e con la grazia creativa della sua persona, non ci sarebbero stati quel mondo, quella festa di incontri di cui, in particolare oggi, si sente la nostalgia e l’esigenza.