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4 Giugno 2023Una stanza da Nobel tutta per sé
4 Giugno 2023
Antonio Carioti
Arrivata al governo, la destra non nasconde l’intenzione di accrescere la sua influenza in campo culturale, dove ritiene di essere stata a lungo emarginata. Ma è veramente così o si tratta di un luogo comune? Abbiamo chiamato a discuterne due intellettuali collocati uno a destra, Pietrangelo Buttafuoco, e l’altro a sinistra, Gad Lerner.
In Italia esiste un’egemonia culturale di sinistra?
PIETRANGELO BUTTAFUOCO — Credo di no. È un’egemonia apparente, come il caldo percepito. Se parliamo di produzione culturale, sono diversi gli esempi di protagonisti che non possono essere ricondotti a sinistra. È vero che Elio Vittorini rifiutò la pubblicazione del Gattopardo, ma fu poi clamoroso il successo postumo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che non era certo un progressista e oltretutto fu pubblicato da Feltrinelli. La stessa editrice Einaudi, considerata un pilastro dell’egemonia di sinistra, pubblicava Renzo De Felice. In questi giorni ci stiamo confrontando su don Lorenzo Milani, ma nel sentimento diffuso degli italiani troviamo la devozione a padre Pio, che è anche santo.
C’è uno iato tra l’alta cultura e quella popolare?
PIETRANGELO BUTTAFUOCO — Masse sterminate di lettori si sono appassionate ai libri di Giovanni Guareschi, oppure seguivano rotocalchi come «Oggi» e «Gente», nei quali trovavano il racconto delle case regnanti. Ma a livello più elevato possiamo citare figure geniali come Alberto Burri nell’arte e Carmelo Bene nel teatro.
Nemmeno negli anni Settanta si può parlare di egemonia di sinistra?
PIETRANGELO BUTTAFUOCO — Quella fu una stagione terrificante d’intolleranza, che ha lasciato un lungo strascico. Ricordo che Indro Montanelli dovette lasciare il «Corriere della Sera», slittato a sinistra, per fondare «Il Giornale». Ma ormai di quella temperie è rimasta a noi in eredità solo una sottocultura mediatica, fatta di scrittori regionali rinchiusi in un ambito provinciale. Certo fa un po’ ridere che il Nobel per la Fisica, Giorgio Parisi, solo pochi anni fa abbia impedito a Benedetto XVI di parlare alla Sapienza di Roma.
GAD LERNER — Figuriamoci se Parisi poteva censurare il Papa. Non mi scivolare nel vittimismo, Pietrangelo, quando finora te ne sei tenuto alla larga.
PIETRANGELO BUTTAFUOCO — Parisi firmò l’appello contro la lezione di Benedetto XVI. Ora invece ha preso posizione a favore dell’intervento di Carlo Rovelli a Francoforte. Trovo un aspetto comico in tutto questo.
GAD LERNER — Mi compiaccio che Buttafuoco non aderisca alla visione secondo cui un’abile campagna di conquista delle «casematte» culturali, per usare un’espressione gramsciana, avrebbe portato a un’egemonia della sinistra in Italia. È uno stereotipo che viene spesso riproposto anche in chiave revanscista da parte della destra, che ama appunto citare Antonio Gramsci per giustificare la sua occupazione del potere.
È una rappresentazione scorretta?
GAD LERNER — Nei suoi Quaderni del carcere Gramsci specifica che ogni rapporto di egemonia è necessariamente pedagogico, quindi non lo si può realizzare semplicemente collezionando posti chiave nell’ambito della cultura di massa. Del resto in quei posti oggi non c’è la sinistra. La maggiore casa editrice italiana, la Mondadori, da più di trent’anni appartiene a Silvio Berlusconi, che possiede anche la più importante impresa di televisione commerciale, Mediaset. Lo stesso Berlusconi ha avuto modo di inserire persone fidate anche alla Rai.
Del resto l’Einaudi è di Berlusconi, ma continua a pubblicare testi prevalentemente di sinistra.
GAD LERNER — I paradossi vanno ben oltre. Il più grande successo editoriale recente della Mondadori è stato Gomorra di Roberto Saviano, detestatissimo dalla destra. E le trasmissioni Rai fatte in sostituzione dei famigerati «talk show di sinistra» hanno registrato ascolti molto bassi. La conquista del governo non equivale al conseguimento dell’egemonia culturale, che necessita di una visione del mondo all’altezza dei problemi, mentre il richiamo al patriottismo di Fratelli d’Italia, nonostante il successo elettorale, risulta anacronistico nell’esperienza concreta delle persone. Anche l’autodefinizione di «generazione Tolkien», da parte dei dirigenti di FdI, rivela una certa confusione e una fatica nel trovare referenti. Oltre a non essere italiano, l’autore del Signore degli Anelli è una personalità significativa, ma non certo un pilastro della letteratura.
A destra c’è un complesso d’inferiorità?
PIETRANGELO BUTTAFUOCO — Non direi. In fondo uno dei maggiori filosofi europei, incidentalmente italiano, è stato Augusto Del Noce, che ha accompagnato alla sua identità di cattolico credente una visione universale tutt’altro che chiusa nello schema novecentesco del nazionalismo. E sullo stesso terreno si colloca Tolkien, il cui successo mondiale dimostra la capacità di parlare a lettori di ogni latitudine. «Generazione Tolkien» è una formula giornalistica pop per rivendicare l’uscita dagli angusti ambiti del secolo scorso appoggiandosi a un immaginario che rappresenta una ventata d’aria fresca.
Quindi la destra ha saputo aggiornarsi?
PIETRANGELO BUTTAFUOCO — Credo che abbia finalmente dismesso la trappola novecentesca e possa costruire un progetto politico attingendo a un ventaglio di riferimenti universali che gli avversari sottovalutano. Del resto quando Giorgia Meloni viene riconosciuta come interlocutrice a pieno titolo da Joe Biden e Ursula von der Leyen, tutte le polemiche alimentate dalla sottocultura mediatica italiana cadono nel ridicolo.
Occorre spostarsi sul terreno internazionale?
PIETRANGELO BUTTAFUOCO — Esattamente. Un governo di destra, in una realtà come l’Italia, dotata di un enorme giacimento di cultura dal valore universale, non può che essere a disposizione del dibattito nel mondo come luogo di libertà, laddove altri pretendono di censurare e cancellare il passato. Non si tratta di andare a cercare chi la pensa allo stesso modo, ma di accogliere tutte le suggestioni che si presentano. Vale soprattutto per la scienza e la tecnica, settori strategici in cui l’Italia può vantare diversi Nobel, compreso Parisi, e ha alle spalle lo straordinario trittico composto da Leonardo da Vinci, Galileo Galilei e Guglielmo Marconi.
GAD LERNER — Non dimenticare il premio Nobel a Dario Fo, l’autore teatrale italiano più rappresentato nel mondo.
PIETRANGELO BUTTAFUOCO — Personalmente preferisco Eugène Ionesco. Ma non per polemica verso Fo. Per ricordare di nuovo che l’egemonia della sinistra non è mai stata effettiva. Quando Montanelli fa la scissione a destra dal «Corriere», va a creare al «Giornale» una pagina culturale straordinaria, con Ionesco, Mircea Eliade, Ernst Jünger, Jorge Luis Borges.
GAD LERNER — Questo elenco di illustri scrittori elitari mi rassicura, perché mi conferma che l’egemonia culturale della destra rimarrà un sogno. Quando realizzavo una trasmissione culturale, L’infedele, ho cercato con sincera curiosità interlocutori a destra. Del Noce non c’era più, ma vennero Ernst Nolte, Alain de Benoist, Franco Cardini (con lui feci un libro sulle crociate) Giano Accame e il mio amico Gianni Baget Bozzo. Tutte persone con cui era appassionante discutere, perché fornivano una visione universale del pensiero conservatore, che mi pare invece rappresentato troppo modestamente da Tolkien e dai campi Hobbit dei giovani missini, assai meno interessanti dei festival pop di «Re Nudo».
Qui non emerge un complesso di superiorità della sinistra?
GAD LERNER — Ci sono dei dati di fatto. Un gigante della letteratura mondiale come Saul Bellow, critico corrosivo del pensiero progressista, ha dovuto pubblicare in Italia da Feltrinelli perché i suoi libri non trovavano altri editori. Non credo che la destra possa andare da qualche parte ricollegandosi alla pagina culturale del «Giornale» di Montanelli, tanto più che lo stesso Montanelli nell’ultima stagione si trasformò in fiero oppositore di questa destra e frequentò i festival dell’«Unità».
PIETRANGELO BUTTAFUOCO — Un comportamento che prova la libertà mentale tipica di un giornalista che rimaneva comunque un uomo di destra.
GAD LERNER — E prova forse anche la capacità inclusiva della cultura di sinistra, che non ha architettato subdolamente la conquista di posti di potere, ma ha saputo trarre profitto dalla vera lezione gramsciana sul carattere pedagogico dell’egemonia.
La destra deve soprattutto rimproverare sé stessa?
GAD LERNER — Oggi vedo a destra due tendenze. Da una parte c’è lo snobismo, quasi esoterico, di Buttafuoco che cita autori elitari come Eliade e Ionesco. Dall’altra vediamo una bulimia annessionistica per cui il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano non solo vuole emulare l’egemonia gramsciana, ma pretende di arruolare Pier Paolo Pasolini, che in vita fu aggredito anche fisicamente dai missini. Ma tutto questo non funziona.
Perché?
GAD LERNER — Buttafuoco non vuole cadere in quella che chiama «la trappola del Novecento», che poi in sostanza è il fascismo. Quindi personaggi come Julius Evola non si possono più citare. Ma il vero problema è chi prende il posto di Fabio Fazio. Sangiuliano cita lo stesso Buttafuoco, Alessandro Giuli e Marcello Veneziani per dimostrare che anche a destra ci sono intellettuali di valore. Ma nessuno tra questi andrà a rischiare prime serate in Rai che pure gli venissero offerte.
PIETRANGELO BUTTAFUOCO — Preferisco di gran lunga i pienoni che faccio a teatro da capocomico. Non è mestiere mio, il conduttore televisivo.
GAD LERNER — Lascerai che altri vadano a sbattere.
PIETRANGELO BUTTAFUOCO — Non lo dico in questo senso. Voglio ribadire che qui si parla di sottocultura mediatica, che nulla ha a che vedere con la riflessione e il confronto intellettuale. Io non sono neppure un consumatore di televisione, figuriamoci se ho la competenza per sapere che cosa può funzionare in prima serata.
GAD LERNER — Anche la gestione dei mass media è parte di un’egemonia culturale.
PIETRANGELO BUTTAFUOCO — Ma la sottocultura mediatica è estranea al vero lavoro intellettuale. Bisogna preoccuparsi piuttosto di garantire qualità alle università, di proiettare all’esterno le immense potenzialità dell’Italia in campo culturale.
La Rai può avere un ruolo in tutto questo?
PIETRANGELO BUTTAFUOCO — In fatto di audiovisivo, mi ha molto incuriosito quello che fa l’India, con la capacità di utilizzare la propria tradizione per produrre fenomeni pop. Anche nel Nord Europa, in Turchia e in Francia ci sono esempi virtuosi. A mio avviso un servizio pubblico deve privilegiare la qualità del prodotto, senza inseguire gli ascolti e le logiche di mercato. È quello che fa Rai Cultura, con risultati molto positivi. Pensiamo solo a come si potrebbe valorizzare televisivamente tutto il nostro immenso patrimonio artistico. Per me il servizio pubblico deve dare una possibilità anche a contenuti che non richiamano le masse, ma poi restano nel tempo per la loro eccellenza. La Rai di Ettore Bernabei aveva una cura che squadernava dal varietà di successo alla consapevolezza storica. Mi piacerebbe che il servizio pubblico tornasse a mostrare quell’attenzione, invece di imitare la tv commerciale.
GAD LERNER — I tempi sono cambiati dall’epoca del monopolio della Rai che produceva in proprio gli sceneggiati. Oggi la fiction è prodotta da società private dirette da persone di grande talento, come Mario Gianani e Lorenzo Mieli, che sono in grado anche di esportare fuori dall’Italia le loro realizzazioni di qualità.
Lei ha avuto una lunga frequentazione della Rai.
GAD LERNER — Sì, ho lavorato su tutti e tre i canali. Ho avuto anche una fantozziana e istruttiva esperienza da direttore del Tg1, che fu congegnata, insieme al direttore generale dell’epoca Pier Luigi Celli, pensando che l’unica soluzione per la Rai fosse di arrivare alla privatizzazione. Fino a quando sul servizio pubblico eserciterà un potere quell’orribile tribunale dell’inquisizione che è la commissione parlamentare di Vigilanza, di fronte alla quale ho avuto la disgrazia di sedere come imputato, credo che le speranze di Buttafuoco di vedere una Rai che punta sulla qualità resteranno deluse. Non ci sono i soldi, non ci sono le idee.
E allora proseguirà la lottizzazione?
GAD LERNER — Sarà la solita occupazione delle caselle, una sola delle quali è importante, la direzione del Tg1, mentre le altre non contano quasi nulla. E qui ritorno alla «trappola del Novecento» ricordando che il direttore del Tg1 da poco insediato, Gian Marco Chiocci, quando era alla guida del quotidiano «Il Tempo» designò come uomo dell’anno Benito Mussolini.
PIETRANGELO BUTTAFUOCO — Io non auspico che si torni alla Rai del monopolio. Indico piuttosto degli esempi, dall’India al Nord Europa, su come si possa fornire ai telespettatori un servizio pubblico di qualità. Guardo al futuro, non al passato.
GAD LERNER — Giusto. Ma è un futuro a cui si può arrivare solo attraverso la privatizzazione, se non è già troppo tardi, perché ormai i canali televisivi sono considerati obsoleti e s’investe sulle officine di produzione delle idee. Si sente dire del resto che anche Mediaset sarebbe in vendita.
E la contrapposizione tra fascismo e antifascismo ha ancora senso?
PIETRANGELO BUTTAFUOCO — Mi richiamo a Del Noce: è necessario e urgente superare questo antagonismo. L’argomento è arato da lungo tempo e non dice niente a nessuno fuori dai confini dell’Italia. Ormai lo si agita solo in senso strumentale.
GAD LERNER — Se ci guardiamo intorno, vediamo però le svastiche dei suprematisti americani sostenitori di quel Donald Trump che Meloni ha appoggiato anche dopo l’assalto al Campidoglio.
PIETRANGELO BUTTAFUOCO — Oggi però abbiamo la foto di Meloni con Biden, che ormai fa testo. I fatti vanno altrove, è inutile guardare indietro.
GAD LERNER — No. Quando alla parola «camerati» si sostituisce la più gestibile «patrioti», come fa FdI, si allude in realtà a un nazionalismo che in altri Paesi ha portato a gravi sviluppi illiberali. Mi riferisco a Israele, Stato che mi è caro, ma anche alla Polonia, all’Ungheria, per non parlare della Russia. Perché l’Italia dovrebbe essere immune da questa tendenza? Tra l’altro vorrei capire perché la destra ha fatto passare alla chetichella il centenario della marcia su Roma, senza organizzare neppure un convegno. Qualcosa mi dice che c’è una rimozione imbarazzata. E mi sembra la miglior prova che l’opposizione fascismo-antifascismo è ancora attuale.
PIETRANGELO BUTTAFUOCO — L’attacco al Campidoglio si è risolto in una pagliacciata i cui responsabili sono stati assicurati alla giustizia. Quanto ai mancati convegni sulla marcia su Roma, vorrei ricordare che c’è stato De Felice, c’è stato un dibattito storiografico approfondito sul fascismo. Ma per molti è come se quella stagione non fosse esistita, perché sono interessati a usare fascismo e antifascismo in funzione strumentale.
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