Parolin: disumano l’attacco a Israele ma la legittima difesa non colpisca i civili
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di Massimo Gramellini
Lo scrivo senza intenti polemici né divisivi, spinto dal desiderio di capire: perché la mattanza di bambini e adolescenti israeliani non ha suscitato un unanime moto di indignazione? Perché fin da subito sono apparsi i distinguo, i «sì, ma» e le altre mille formule escogitate dall’ipocrisia umana per spostare l’attenzione dall’enormità del momento — la più spaventosa carneficina premeditata di ebrei dai tempi della Seconda guerra mondiale — alle pur sacrosante riflessioni sulle concause storiche e le corresponsabilità di Israele e dell’Occidente intero? Perché tanti giovani e meno giovani, in Italia e in Europa, sono scesi in piazza o sui social agitando slogan contro i «sionisti», ma neanche uno contro i tagliagole? Perché, quando vedono i morti palestinesi dicono che è colpa di Israele, ma quando vedono i morti israeliani non dicono (se non in pelosa e frettolosa premessa) che è colpa di Hamas? Possibile dipenda solo dal senso di colpa di vivere nella parte ricca della Storia?
Una risposta implicita l’ha offerta J.K. Rowling. La creatrice di Harry Potter ha citato la lettera ai giornali in cui una madre inglese raccontava che, dopo i massacri di sabato scorso, la scuola aveva «raccomandato» ai compagni di classe ebrei della figlia di camuffare la loro identità, nascondendo la kippah sotto un cappellino da baseball. Come mai, si chiede sconfortata la Rowling, una simile resa morale non indigna nessuno? Almeno per un giorno, almeno per un minuto.