La compagnia di mercenari nota come Wagner si muove per centinaia di chilometri sul territorio russo senza che le forze dell’ordine (i militari russi erano al fronte, tutti tutti?) e i sostenitori di Putin vi si oppongano in qualche modo.
Poi, Prigožin si ferma e accetta: cosa? asilo politico in Bielorussia? La guerra civile, se fosse diventata tale, è sventata, ma la debolezza di Putin appare in piena luce. Oppure no.
Possiamo, e dobbiamo, rincorrere gli avvenimenti ora dopo ora, ma poco comprenderemo e poco si riuscirà a dire, se non si inseriscono quegli avvenimenti in una visione complessiva del regime russo.
Despota, zar e altro Putin è il capo, nient’affatto carismatico, di un regime autoritario, non totalitario. Infatti, Putin non è al vertice di una struttura, ad esempio, un partito, solida, ampia, ramificata sul territorio, in grado di esercitare un controllo assoluto.
Gli osservatori del regime sottolineano prevalentemente le caratteristiche personali del potere di Putin. L’organizzazione che controlla davvero, per ragioni storiche e di competenza, sono i servizi segreti.
La burocrazia russa, come molte burocrazie, esegue senza porsi troppi interrogativi. Le Forze armate hanno spazi di autonomia, ma anche problemi di efficienza. Gli oligarchi godono di una situazione di relativa, ma declinante, prosperità, nessuno di loro apparentemente molto vicino al capo, tutti loro consapevoli che il capo ha già punito i dissenzienti in maniera definitiva.
Sono potenzialmente oppositori di una guerra che ha enormemente peggiorato il loro tenore di vita, ma non sembra che abbiano la capacità di organizzarsi e coordinarsi.
Gelosie e paure li rendono, nel migliore dei casi, attendisti. I pochi oppositori della/nella società civile, politici, giornalisti/e, scrittori, sono tanto visibili quanto facilmente eliminabili, e lo sanno.
Tutti, comunque, posseggono qualche brandello di potere politico, sociale, culturale, talvolta anche a livello locale dove è più difficile per gli operatori esterni acquisire informazioni.
I regimi totalitari sono per definizione monolitici, ma la loro rigidità si accompagna all’inesistenza di sostituti quando crollano. Nei regimi autoritari lo spostamento di una o dell’altra componente, alleanze tattiche e temporanee, la comparsa di oppositori capaci di coordinare le sfide al detentore del potere politico e alle sue basi di sostegno, non sappiamo quanto estese e opportunistiche, possono aprire la transizione.
Prima, spesso, viene un cambio nel regime, quando emerge un’alternativa al capo, uno swing man che porta con sé parte di un’organizzazione; poi, ne segue anche un vero e proprio cambio di regime con i vincitori che, entro limiti incerti, ma insuperabili, disegnano un nuovo quadro politico. Non democrazia, ma la condizione che conduce a tregua e a trattative.