Dopo le correnti, la cosa più vecchia e più stantia che riempie la vita, i buoni propositi e i cattivi sogni di un partito è la “lotta alle correnti”. La lotta infatti è consustanziale alle correnti, le è pressoché contemporanea e ne rivela la falsa coscienza – come si sarebbe detto una volta.

Dovrebbero saperlo bene i comunisti e i democristiani e i socialisti che militano da quelle parti. Di correnti ve ne erano infatti una gran quantità in ognuno di quei – gloriosi – partiti. E di lotta alle correnti si è parlato tra di loro, tra di noi, fino allo sfinimento. Un po’ da parte di segretari che pensavano che il potere monocratico funzionasse meglio della spartizione delle quote tra i notabili. E un po’ da parte di gruppi in ascesa che non vedevano l’ora di togliere di mezzo i loro concorrenti più attempati.

I NEMICI

Anche allora, infatti, i nemici delle correnti erano di due tipi. In alto, i leader che ambivano a decidere da sé, senza troppo farsi condizionare dall’altrui collegialità. In basso, i militanti e i dirigenti che cercavano nuove vie per farsi strada a loro volta. Sfidate dall’alto e dal basso, le correnti a quel punto si mimetizzavano. Cambiavano nome, decidendo di chiamarsi componenti, o tendenze, o più ridicolmente anime o sensibilità. Salvo conservare la loro natura, le loro consuetudini, le loro complicità, le loro ragioni sociali.

Giganti del calibro di Enrico BerlinguerBettino Craxi, Ciriaco De Mita, perfino Amintore Fanfani, tutti più o meno scelti dalle correnti del loro tempo, si adattarono a convivere con quei disturbatori della loro quiete e del loro primato che erano gli altri leader di quelle stagioni. Qualche volta riuscendo a farsi ubbidire, il più delle volte decidendo di scendere a patti. C’era anche allora il lamento contro i gruppi organizzati. Ma si trattava per l’appunto di un modo di dire.

Una commedia non priva di ipocrisie e neanche però di buone intenzioni. Parlare contro le correnti ai convegni di corrente sembrava un vezzo non troppo disdicevole. Come fosse un’allusione a buoni propositi che si potevano poi disattendere senza sentirsi troppo in colpa. E anche senza prendersi troppo alla lettera, però.

BENE CONTRO IL MALE

Insomma, si trattava di ordinari e quasi banali strumenti di lotta politica. E non già della grandiosa messinscena teatrale della guerra del bene contro il male, o del nuovo contro il vecchio.
Ora, nel caso del Pd di cui si parla in questi giorni sembra invece esserci qualcosa di più e forse di peggio. E cioè il fatto che tutte queste intemerate contro le correnti vengono prese tremendamente sul serio. Aggiungendo così a quel minimo di ipocrisia a loro riguardo anche un tratto di apocalittica drammaticità che suona davvero stonata.

D’accordo, non ci saranno i “bonacciniani” e neppure gli “schleiniani” (con il che almeno la musicalità delle parole viene messa al riparo). E si farà finta che non esistano dietro le quinte i leader di prima a generare i leader di poi. Ma si tratta di un modo di dire, come è chiaro a tutti. Di una buona intenzione, forse. Eppure poggiata sull’irrealtà. E smentita da quel continuo affaccendarsi in quei conciliaboli più o meno organizzati in cui grandi e grandissimi elettori danno prova di quel che resta della loro professionalità politica.

Ecco, mi permetto di dire che il punto alla fine è proprio questo. Il Pd cerca di offrirsi alla pubblica opinione come un partito non professionale. Scambiando la sua verità e quel che resta della sua virtù con quell’improbabile tratto di improvvisazione, quasi orgogliosamente dilettantesco, che vorrebbe significare l’inizio di un mondo nuovo. O almeno di un partito nuovo. Peccato che la politica non funzioni così. E che per ciascuno dei suoi interpreti continui a valere un dovere: quello di essere prima di tutto sé stessi. Cosa che dovrebbe suggerire un minimo di pudore nel crocifiggere le correnti. Cioè i sé stessi di prima.
Il Pd ama raccontarsi come un partito fresco e giovane. Ma è il partito più antico, e quello dove militano i dirigenti che hanno sempre concesso meno di tutti gli altri all’improvvisazione. C’è da quelle parti un retaggio, che si fa fatica a nascondere. E che dunque dovrebbe magari essere interpretato, aggiornato se del caso, ma non denegato con un sentimento di imbarazzo e quasi di vergogna.

Per questo mi permetterei di consigliare ai capi delle correnti di non nascondersi più di tanto. E ai candidati di non far finta di essere stati generati dal nulla. Semmai facciano correnti nuove, se quelle vecchie non piacciono più. Ma abbiano cura di risparmiare a sé stessi e a tutti noi questa sorta di commedia. Già, perché non è detto che le correnti siano sempre una tragedia. Mentre è quasi scritto che la lotta alle correnti spesso e volentieri diventa una farsa.