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di Francesco Verderami
Francesco Verderami
L’interesse di queste elezioni è il turno che verrà, cioè il secondo. L’esito del primo ha dimostrato che il centrodestra non ha esaurito la luna di miele con i cittadini, mentre l’opposizione non ha usufruito per ora di un «effetto Schlein». Il ballottaggio potrà indirizzare il risultato, ma non al punto di ricavarne un significato nazionale. Perché le Amministrative si svolgono con il doppio turno, le Politiche a turno unico.
Semmai il responso delle urne conferma quanto anticipavano da settimane i sondaggi: una situazione cristallizzata, dove gli spostamenti nei consensi dei partiti si misurano in decimali. E in fondo questa è di per sé una buona notizia per il governo, perché le elezioni intermedie sono sempre state una croce per chi siede a Palazzo Chigi, tanto che in passato il voto locale provocava spesso un rimpasto. Non sarà così stavolta, per due motivi. Il primo è che il rinnovo del Parlamento è avvenuto solo otto mesi fa, e il centrodestra ha confermato ieri il suo primato; il secondo è che il vero test per maggioranza e opposizione saranno le Europee dell’anno prossimo.
Fra due settimane si potrà capire se il centrodestra sarà riuscito a strappare la storica roccaforte di Ancona agli avversari o se il centrosinistra riconquisterà qualche capoluogo della Toscana. In ogni caso il risultato non avrà alcun riflesso sul quadro politico nazionale. E come al solito verrà archiviato. Sarebbe però un errore, perché il voto di ieri comunque un segnale l’ha lanciato, ed è un avvertimento rivolto al Palazzo a concentrarsi sui problemi e sulle cose da fare.
Da un lato infatti le questioni di governo non consentono distrazioni, tanto in Italia quanto in Europa, che ormai sono la stessa cosa. Certo, Giorgia Meloni oggi può rivendicare che l’economia italiana sta marciando a ritmi superiori alle attese. Ma dagli accordi per la gestione del Pnrr, alle intese sul nuovo patto di Stabilità, fino alla ratifica del Mes, la premier sarà chiamata a scelte che impatteranno sul Paese e quindi sul giudizio dei cittadini.
Dall’altra parte le forze di opposizione, oltre a svolgere il loro ruolo in Parlamento, dovranno dimostrare la capacità di costruire un’alternativa di governo. Al momento di questo processo non c’è traccia ed è presumibile che per un anno la situazione non muterà, dato che alle Europee ognuno correrà per sé.
Fino ad allora Meloni potrà contare su un alleato formidabile: l’assenza di un avversario. Perché il Terzo polo di Carlo Calenda e Matteo Renzi è un accordo tra separati in casa, e le urne hanno confermato quale sia il giudizio degli elettori. Perché il Movimento di Giuseppe Conte in Parlamento si regola di volta in volta sempre in contrapposizione al Pd, e intanto raccoglie l’ennesimo risultato mediocre alle Amministrative. E perché il Pd di Elly Schlein — al di là delle dichiarazioni di principio sui diritti civili — non ha ancora espresso una linea politica chiara su temi dirimenti, a partire da quelli economici.
Ma soprattutto nessuno dei tre partiti appare per ora in grado di assumere la guida di un processo di sintesi che dia origine a un’alleanza. C’è tempo, è vero. Secondo l’ex ministro Dario Franceschini «se qualcuno pensa che la legislatura possa interrompersi, è folle. Il centrodestra governerà cinque anni». Nel frattempo però non si vede una road map delle opposizioni. E il voto di ieri non offre nemmeno uno di quei risultati che in passato fornivano un alibi camuffato da speranza: il successo cioè in una «città laboratorio», capace di indicare la strada di una futura coalizione. Perciò i ballottaggi di una tornata elettorale assai limitata non possono rappresentare una reale rivincita e tantomeno indicare un’effettiva inversione di tendenza.
La situazione politica sembra così avvantaggiare Meloni, ma i passaggi a cui è atteso il governo richiederanno decisioni in certi casi dolorose. E la maggioranza in questi mesi ha mostrato una conflittualità interna che in vista delle Europee è destinata ad aumentare, per effetto della competizione interna esasperata dalla legge elettorale proporzionale. Contare sul fatto che il centrodestra non abbia avversari rischierebbe in prospettiva di rivelarsi un’idea esiziale. Perché davanti a una confusa gestione del Paese il governo potrebbe essere punito dagli elettori. Sarebbero loro nelle urne a rappresentare l’alternativa.