TACCUINO
È inutile girarci attorno: È i mille gazebo in altrettante piazze italiane in cui Salvini darà vita a un suo personale sondaggio in questo weekend rappresentano la più raffinata iniziativa di opposizione promossa fin qui dal leader che, pur essendo vicepresidente del consiglio, vive da sempre con un piede dentro e uno fuori dal governo. E al quale, sia detto per inciso, non più tardi dell’inizio di questa settimana aveva promesso – testimoni Meloni e Tajani – che non avrebbe più fatto sgambetti, salvo poi attaccare ieri frontalmente Macron.
Astutamente, invece, Salvini sfugge le piazze dei cortei e sceglie quelle dei passanti che saranno chiamati a votare sulle due paci proposte dalla Lega: quella in Ucraina in pieno accordo con Putin, e alle sue condizioni; e quella fiscale, un ulteriore condono delle cartelle dopo quello varato con la manovra 2024, per cui Meloni, ancor prima di dover mettere mano al riarmo deciso a Bruxelles, lo aveva avvertito che mancano i fondi necessari. Nelle dichiarazioni-spot con le quali il Capitano leghista in tv chiama a raccolta i cittadini presenta così l’appuntamento con i gazebo: o di qua o di là. O con il riarmo europeo di Von der Leyen e Meloni, o con la pace di Salvini e Putin. O con gli aumenti di tasse o di debiti che presto o tardi serviranno a finanziare nuovi armamenti, o con la rottamazione delle cartelle di Salvini. E non è neppure necessario aspettare di conoscere i risultati della consultazione, che serviranno al leader leghista a condurre una nuova campagna di qui al 5 e 6 aprile, al congresso del suo partito dal quale – è ovvio – si aspetta la rielezione, per sapere che la grande maggioranza degli intervistati gli darà ragione.
Nel frattempo Meloni, che ha evitato accuratamente di presentarsi in Parlamento, come pure è consuetudine, prima del vertice europeo di giovedì, dovrà farlo dopo, a consuntivo, per spiegare il piano della presidente della Commissione e chiarire la complicata posizione italiana per cui il governo ha detto “sì” al riarmo europeo, ma con una serie di riserve e sottolineando là facoltatività dei singoli Stati nell’impiego dei fondi di coesione per l’acquisto di armi. Un “sì” che è un “ni”. Ma rispetto al quale la franchezza del “no” chiaro e tondo di Salvini risuonerà nelle aule.