di Giuseppe Bottero
L’indice Nikkei a picco, l’Europa e Wall Street in rosso, l’ombra di una grande frenata americana: Guido Maria Brera, presidente di Kairos, cosa sta succedendo sui mercati?
«Questa crisi ha tre protagonisti, che spesso non si parlano: il gruppo dei grandi “day trader”, investitori casalinghi, un popolo nato grazie ai sussidi che da quattro anni compra titoli, spesso senza curarsi particolarmente dei fondamentali. Poi ci sono i fondi più sofisticati, che hanno utilizzato i tassi a zero in Giappone per finanziarsi e comprare asset finanziari in giro per il mondo. Infine, il gruppo dei fondi sistemici, che usano algoritmi spesso “trend follower”, ovvero che seguono quello che fanno gli altri e rischiano di confondere Roaring Kitty (l’utente social che nel 2021 ha fatto volare il titolo di GameStop, ndr) per Warren Buffett. Però poi Buffett vende, l’America rallenta, la banca centrale giapponese finalmente alza i tassi, le guerre si espandono e di colpo tutti vendono: l’effetto è che la volatilità schizza ai massimi e, in tre giorni, cambia tutto. Le do qualche numero sulla portata dell’evento: tra la settimana scorsa e questa solo i fondi sistemici hanno venduto più di 50 miliardi di equity che il mercato ovviamente non è riuscito ad assorbire».
Dunque i timori su una recessione degli Stati Uniti non bastano a giustificare il peggior crollo della Borsa giapponese dal 1987?
«No. Abbiamo un mercato dei capitali iper-connesso, iper-finanziarizzato; basta un piccolo dato negativo e si genera un effetto palla di neve. Ecco come lavorano le macchine rispetto all’uomo».
Dieci anni fa, con il romanzo “I Diavoli” , alzava il velo sulla grande finanza, sui suoi eccessi e sui suoi pericoli. Quel racconto prosegue via podcast, con Black Box. Chi sono oggi i veri diavoli?
«Sono gli stessi di prima, ma a loro si sono aggiunte le macchine; per questo è sempre più difficile gestire le crisi. Abbiamo assistito a una sostituzione graduale dell’uomo: la macchina legge ed esegue, ma non sa se dietro quell’ordine c’è Buffett o Kitty».
Capitolo tassi. Sul mercato c’è chi scommette su un intervento d’emergenza della Federal reserve, la Bce sta studiando le prossime mosse. Cosa si aspetta dalle banche centrali?
«La politica monetaria è stata espansiva per moltissimi anni, poi gli istituti sono stati costretti a tirare il freno per combattere l’inflazione. E lo hanno fatto in ritardo, non intercettando gli umori di un ordine globale che si stava rompendo. Ma la Banca centrale giapponese ha aperto un varco: il mondo si è indebitato in Yen ancora a costi bassissimi e si è generata una leva molto importante. Poi la banca ha finalmente alzato i tassi e, nel frattempo, è arrivato il taglio della Fed. Due eventi che hanno spinto tutti a chiudere un “trade” che andava avanti da anni. Il problema è che tutto è stato velocissimo: i flussi di capitali sono anarchici, il rischio è che prevalga l’irrazionale. Mi chiedo spesso se, con i sussidi, sia stato giusto creare un esercito di scommettitori o se magari invece con tutti quei soldi si potevano creare dei ponti verso il futuro».
In che modo?
«Se vuoi creare virtuosismi o supportare l’imprenditoria, devi dare sicurezza».
Il popolo dei divani che investe in Borsa con gli aiuti di Stato… Sembrano gli Stati Uniti raccontati da J. D. Vance in “Elegia americana”.
«In effetti, arriviamo lì. Tu mi dai i soldi, io ci faccio quello che voglio. Un tempo si emetteva debito pubblico per migliorare Sanità e scuole e per creare una classe media, oggi quei soldi vanno a chi non ha lavoro né speranze sul futuro. La gente si mette davanti a un Pc e comincia a comprare. Poi, le macchine leggono i numeri e ciecamente amplificano le loro mosse».
L’Europa come sta?
«L’Europa al momento è un po’fuori dal gioco. Non ha molto partecipato al rialzo e speriamo non partecipi molto al ribasso. È un tema soprattutto americano e asiatico. Qui, tutti gli sforzi post-Covid sono andati in una direzione più virtuosa, di costruzione di imprenditoria. E in Europa la borsa non è uno strumento politico di espansione; in America invece la crescita delle azioni e quella del Pil sono intimamente connesse. È proprio un tema culturale».
Dove orientarsi allora?
«Alla fine, navigando con alti debiti pubblici e molto denaro stampato, dovremo guardare a veri “trophy asset” per salvaguardare il potere d’acquisto della moneta: tra questi certamente alcune azioni ma anche l’oro, che è un asset molto ricercato. E il Bitcoin che, seppur volatile, diverrà bene rifugio in quanto ha una quantità finita e non si può replicare».
Parliamo di Italia. Ieri Piazza Affari è stata la peggior Borsa d’Europa, il nostro spread viaggia attorno a quota 150 punti base: c’è il rischio che si allarghi?
«Io credo che in questa fase l’Italia stia messa meglio degli altri; in Europa il vero malato è la Germania, che ha approfittato del bassissimo costo dell’energia e della valuta, mentre la Francia ha un costo dello Stato elevatissimo. L’Italia ha quindi un’occasione enorme, quella di diventare anch’essa un “asset trofeo”».
Che cosa significa?
«Io penso che dovremo trasformare l’Italia in un ufficio moderno, un grande luogo in cui venire a lavorare. Non una meta del turismo mordi e fuggi che fa molto male, ma un luogo in cui insegneremo ai figli di chi arriva, puntando sull’educazione e sulla Sanità, in modo da creare virtuosismi, occasioni e stabilità. Così si aumenterebbe il gettito fiscale e si creerebbe un ritorno importante».
Nei primi sei mesi dell’anno i colossi di Big Tech hanno speso più di 100 miliardi di dollari per l’intelligenza artificiale. E la cifra, secondo gli analisti, è destinata ad aumentare: entro la fine dell’anno dovrebbe raddoppiare fino a raggiungere i 1.000 miliardi di dollari in cinque anni. Può diventare una bolla?
«Quando c’è una grande scoperta “disruptive” si investe troppo, sempre, perché il capitale serve anche a fare dei balzi in avanti, è una corsa inevitabile. Pensiamo a quello che avvenne con le ferrovie, le telecomunicazioni e più recentemente con internet. L’intelligenza artificiale è il futuro ma costa ancora molto; la vera sfida sarà efficientarla e ancora di più sarà necessaria un’attenzione legislativa, di controllo. Come il nucleare, dovrà avere paletti e linee guida, perché altrimenti diventerà davvero complicata da gestire».