Roma
«Il governo ha detto di no ed è no. Quei missili possono essere utilizzati solo dentro l’Ucraina. In Crimea, nel Donbass, o dovunque serva a difendersi dall’aggressione di Mosca. Ma non in Russia. Anche perché per usare gli Storm Shadow fuori dai confini dovrebbero chiederci l’autorizzazione. E qui non parliamo solo di autorizzazione politica. È un via libera tecnico. Funziona più o meno così: loro individuano un target, ci chiedono se possono attivare i missili con quell’obiettivo e noi diciamo sì oppure no». A parlare è una fonte autorevole della Difesa che accetta di offrire un chiarimento su un questione che sta dividendo il mondo politico – facendo scivolare in contraddizioni interne i partiti di opposizione e di governo – ma solo con la garanzia dell’assoluto anonimato.
Delle armi inviate dall’Italia all’Ucraina si capisce poco. L’omissione è voluta, l’imprecisione una conseguenza. Il governo ha secretato il contenuto – quindi non sappiamo cosa viene inviato alla resistenza di Kiev – e ha detto che le forniture militari non possono essere utilizzate fuori dall’Ucraina, e dunque nella controffensiva che l’esercito di Volodymyr Zelensky ha portato fin dentro il territorio russo, nella regione di Kursk. Ieri però, su questo giornale, Mykhailo Podolyak, consigliere del presidente ucraino, ha chiesto: «Dateci al più presto il permesso di usare gli Storm Shadow per attaccare a lunga distanza». Un appello che di fatto conferma quello che tutti immaginavano, ma che nessuno del governo era autorizzato a confermare. E cioè che l’Italia non ha mandato solo i sistemi di difesa antimissile Samp-T, ma anche i missili a lunga gittata prodotti dalla Mbda, il principale consorzio europeo del settore, partecipato da tre aziende: la francese Airbus Group, la britannica Bae Systems, e l’italiana Leonardo.
La risposta dell’esecutivo a Podolyak è già arrivata, dal ministro della Difesa Guido Crosetto e dal ministro degli Esteri Antonio Tajani. Bisognerà vedere quanto, con l’evolversi del conflitto e dell’avanzata ucraina, il governo reggerà su questa linea. Sempre ieri, e sempre intervistato da La Stampa, Tajani è sembrato ancora netto ma ha aggiunto una serie di particolari interessanti, utili a fare luce sull’impegno italiano e a comprendere meglio il senso della richiesta di Kiev. Il capo della Farnesina ha spiegato che le forniture «sono accompagnate da accordi e protocolli», che permettono di controllare come e dove gli ucraini utilizzino le armi italiane. Tajani non smentisce l’invio degli Storm Shadow, ma si copre dietro la scelta di lasciare top secret il contenuto dei finora nove pacchetti di aiuti militari. Conferma però che per cambiare piano gli ucraini sono vincolati a un’autorizzazione italiana: «Ce lo dovrebbero chiedere, e lo sanno».
Da quanto risulta, al momento non è stata formalizzata una richiesta ufficiale. Crosetto non è stato contattato dall’omologo ucraino e intenzione del governo italiano, secondo quanto riferisce Tajani, è di avere un confronto franco con il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba durante il vertice dei capi della diplomazia dell’Unione europea previsto a fine mese. Secondo la fonte della Difesa che abbiamo contattato l’Italia non ha dato alcun via libera: «Anche perché – aggiunge – ne hanno abbastanza da parte britannica». Il Regno Unito non ha le limitazioni costituzionali e parlamentari che ci sono a Roma e che Crosetto ha più volte affrontato nei dibattiti in Aula. Tutto ruota attorno all’interpretazione del concetto di “difensivo”: è legittimo per gli ucraini sparare missili in Russia, per indebolire i rifornimenti di Mosca e acquisire un vantaggio nella difesa in casa? Giorgia Meloni non si sta esponendo personalmente, perché il terrore all’interno della compagine governativa è che una drammatica escalation possa vanificare le argomentazioni di Zelensky e dei suoi uomini, che pure considerano ragionevoli.
Restano altre due domande: come può l’Italia avere la certezza che gli Storm Shadow vengano usati solo in casa dagli ucraini per contrastare i russi? E come si fa a sapere se sono missili italiani o inglesi? Lo abbiamo chiesto alla casa produttrice Mbda: «Per l’utilizzo operativo vanno sentiti i militari e per il protocollo il governo, perché come azienda ne siamo fuori». Le uniche informazioni autorizzati a rilasciare riguardano le caratteristiche di queste armi a lungo raggio: sistema di riconoscimento degli obiettivi, sistema di guida, Gps, navigatore. Il vincolo è tecnico, confermano dalla Difesa. I missili hanno un codice identificativo (da cui si può capire se fanno parte della spedizione italiana o inglese). E, poi, in estrema sintesi, c’è una forma di controllo tecnologico da parte del Paese fornitore: gli ucraini mandano i dati dei bersagli e attendono la risposta per l’autorizzazione. Il perimetro di intervento, dunque, è anche geografico. La pianificazione dell’attacco così è condivisa, e deve andare bene all’Italia.