Il risultato elettorale delle elezioni regionali sarde va preso con le pinze. È pur vero che la vittoria della candidata grillina Todde è giunta inaspettata, ma se facciamo un confronto con le politiche del 2022 il quadro sembra un po’ diverso (si dirà che il confronto dovrebbe essere fatto con le regionali del 2019, ma è passata un’era geologica: FdI, per dire, era un partitino). Ebbene, i partiti della coalizione di centrosinistra e M5S, cui possiamo aggiungere per completezza lo 0,7% preso da Rifondazione Comunista (che appoggiava Soru), hanno preso il 43,3% dei voti. Il centrosinistra (salvo +Europa) più 5 Stelle e Unione popolare di de Magistris nel 2022 ottenne il 48,2%. Il Campo Largo non sembra allargarsi, in effetti.
Il dato veramente notevole è quello che spiega la sconfitta del centrodestra, però. Nonostante la coalizione abbia raccolto il 48,8%, il candidato di FdI, il sindaco di Cagliari Truzzu, si è fermato a solo il 45% e questo può suonare come campanello d’allarme per il governo. È vero che ci sarà stato qualche militante leghista o del PSd’A che avrà votato Todde o Soru per ripicca, ma oggi di iscritti a partiti che seguono ordini di scuderia sussurrati a mezza bocca quanti ce ne sono? Non siamo più nella gloriosa Prima Repubblica rimpianta da Checco Zalone. Quindi una fetta importante di quelli che hanno scisso il voto potrebbe essere di persone che hanno poca stima del primo cittadino di Cagliari o della sua parte politica ritenuta un po’ estrema (FdI ha sofferto molto le liste locali, per lo più composte di moderati, passando dal 23,6% del 2022 al 13,6% di domenica).
Qui potrebbe esserci un dilemma per la presidente del Consiglio. Per ora le sta andando tutto bene ma non può dimenticarsi che l’elettorato della sua coalizione è in buona parte moderato. Coloro i quali votavano Forza Italia non si sono dissolti nel nulla: sono passati prima alla Lega di Salvini quando era il contraltare dei 5 Stelle e poi a Fratelli d’Italia. In Veneto è la lista Zaia (che professa ammirazione per Tony Blair ma che i suoi concittadini vedono come un solido e capace democristiano) che alle regionali del 2020 prese il 44,6% contro il 16,9% della Lega stessa. E nel 2023 in Friuli Venezia Giulia, il pragmatico Fedriga ha avuto un successo incredibile. In genere i presidenti di regione del centrodestra, da Cirio a Fontana, passando per Toti, Occhiuto e Rocca sono dei moderati che rassicurano l’elettorato centrista. Si tratta di quel segmento di popolazione che è interessato all’economia, mal sopporta la burocrazia, opera con l’Europa e i mercati esteri, vuole meno tasse e combatte ferocemente per i propri privilegi (ad esempio i balneari) ma è assai contrariato da quelli degli altri. I crociati della carne sintetica non son molti e, visti gli scarsissimi risultati in tema di immigrazione e ordine pubblico, (i reati aumentano e sì, per quanto pochi, anche gli omicidi), questi due temi ormai passano sotto silenzio.
In poche parole, se la presidente Meloni continua un’evoluzione moderata che la porti ad essere più Conservatore britannico o Popolare spagnolo, la débâcle sarda potrà rimanere un episodio.
Se, invece, forza i toni, lascia mano libera ai gaffeur del suo partito, impone soluzioni politiche sgradite, insiste su temi identitari come lo stop al fine vita o la proliferazione dei reati nel codice penale, e si dimentica l’economia che fra un paio d’anni perderà lo scudo del Pnrr, rischia molto di più.
Qui si inserirebbe il ruolo di una forza centrista, liberale, capace di parlare ai ceti produttivi del paese e perciò in grado di accogliere gli scontenti che non vogliono sentirsi accomunati al generale Vannacci o alla fiera del “gratuitamente”.
Purtroppo qui la situazione è grigia: i tre partiti dell’area sono divisi, persino al loro interno.
L’elettore moderato è disposto a votare alternative credibili, ma non a costo di sprecare il voto per micro formazioni che sospetta di essere pronte a gettarsi tra le braccia del campo largo (piaccia o non piaccia, così è). Per queste Europee non c’è tempo di far molto, ma in futuro sarà necessario dar vita ad un soggetto unitario che superi personalismi incomprensibili alla quasi totalità dei cittadini (dirò di più, persino se le diffidenze siano fondate!) e abbia un’identità e una visione ben definita.
Se non si costruisce una forza politica molto presente a livello locale, non dispersa in mille rivoli e con un messaggio chiaro (che a mio parere non può che essere quello di europeismo, atlantismo, libertà economiche, politiche e civili) gli elettori di queste formazioni rimarranno piccole minoranze urbane del centro nord che non votano gli altri per motivi di buon gusto. Un po’ poco per costruire una reale alternativa.