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23 Aprile 2024
Milano, il carcere minorile. «Le botte? Se le meritano»
Pierpaolo Lio ,Giuseppe Guastella
MILANO Detenuti giovanissimi picchiati ferocemente, spesso come ritorsione per motivi banali e dopo essere stati ammanettati alla schiena per impedire anche una disperata, inutile difesa: invece di accoglienza, aiuto ed assistenza per anni nel carcere Beccaria di Milano i prigionieri minorenni hanno vissuto in un clima di terrore in balia di un gruppo di agenti della polizia penitenziaria, 13 dei quali sono stati arrestati ed altri otto sospesi. Un’inchiesta della procura di Milano porta alla luce un «sistema consolidato di violenze reiterate, vessazioni, punizioni corporali, umiliazioni e pestaggi» che il procuratore Marcelo Viola non stenta a definire con amarezza «una brutta pagina per le istituzioni».
C’è chi ha commesso le violenze (gli arrestati, 12 tuttora in servizio) ed è accusato dai pm Cecilia Vassena, Rosaria Stagnaro e dall’aggiunto Letizia Mannella di maltrattamenti, lesioni e perfino di tortura; e c’è chi (i sospesi) ha coperto i primi con le relazioni di servizio false ed un silenzio omertoso, come l’ex comandante degli agenti. Una «violenza gratuita e generalizzata», scrive il gip Stefania Donadeo nell’ordinanza cautelare, che dimostra negli indagati una «inclinazione alla violenza» ed una «assoluta incapacità di autocontrollo» a fronte di minorenni molto spesso arroganti e violenti.
Le indagini partono a febbraio di un anno fa dopo una segnalazione del Garante dei detenuti del Comune di Milano, Francesco Maisto, che a sua volta aveva ricevuto l’allarme dall’allora consigliere comunale David Gentili (Pd) al quale si erano rivolte la psicologa del Beccaria e la madre di un recluso. Polizia penitenziaria e Squadra Mobile hanno ricostruito un quadro impressionante con i detenuti trascinati dove non c’erano telecamere e lì pestati a sangue ma in modo che sui corpi non restassero segni. Una dozzina gli episodi, uno su un ragazzo che poi è evaso a Natale 2022.
Un mese prima, un minore accusato di aver appiccato il fuoco in cella viene trascinato in un ufficio dove lo aggrediscono in sette a calci e pugni, fino a lussargli una spalla. Un colpo al basso ventre gli fa quasi perdere i sensi: «L’ultima cosa che ricordo è uno che mi ha sputato addosso». Va in isolamento dieci giorni, i primi tre senza vestiti e materasso. Un ragazzo extracomunitario ha problemi di dipendenza dalle droghe, è iperattivo, ha un ritardo cognitivo. Chiede con fastidiosa insistenza un accendino per fumare. Gli «rispondono» in quattro nel solito ufficio del capoposto. Botte da orbi. «Se le era meritate», dice al telefono un agente sotto controllo.
Il caso
La tentata violenza sessuale al detenuto, che poi viene portato via e preso a cinghiate
Qualche giorno dopo, stessa sorte per un italiano in isolamento che protesta per uscire: in tre lo riempiono di botte, e quando la direttrice di allora lo vede insanguinato e ammanettato a terra, si limita ad ordinare di liberarlo e portarlo in infermeria sembra senza fare altro. Sul collo ha ritratta la suola dell’anfibio.
La testimonianza più dura è di un ragazzo nordafricano subito trasferito a Torino. Novembre scorso, notte, un agente di 30 anni entra in cella e comincia a palpeggiarlo (è accusato anche di tentata violenza sessuale): «Stai tranquillo, voglio solo fare l’amore con te». Il detenuto lo respinge a pugni. In due verranno a prenderlo, lo picchieranno anche a cinghiate e poi nella relazione scriveranno, come in tutte le altre, di essere stati aggrediti. Quando si rendono conto che c’è un’indagine, gli agenti se la prendono con il nuovo direttore — arrivato dopo anni di posto vacante — che consegna le immagini registrate dalle telecamere ai magistrati. «Sei il direttore, tu ci devi proteggere», tutto «per un marocchino di me… che manco parla l’italiano», recriminano al telefono. Una testimonianza porta le violenze indietro fino al 2021.
«Va assicurato il controllo della legalità ed il rispetto della legge», dichiara Viola dando conto della totale collaborazione dell’amministrazione penitenziaria. Per il procuratore, molto sensibile ai temi del carcere, sono necessari interventi per aumentare l’organico degli agenti e puntare alla loro formazione. Criticano la «retorica delle mele marce», gli avvocati della Camera penale di Milano secondo i quali gli indagati «vengono già etichettati come colpevoli, mentre il sistema prontamente viene assolto, anzi, a ben vedere, si autoassolve», quando sovraffollamento e carenze strutturali rendono nelle carceri le condizioni di vita «terrificanti».