CESENA — E correntone sarà. Correntone vero, con tanto di struttura parallela, o più diplomaticamente “interna”, rispetto a quella del Pd. Un coordinatore nazionale, vari coordinatori regionali per radicare Energia popolare in tutto lo Stivale. Stefano Bonaccini ha già deciso il timing: «Si parte a settembre». Subito dopo l’estate militante di Elly Schlein. La decisione è maturata alla Fiera di Cesena, dove il governatore emiliano e presidente Pd ha tenuto a battesimo la sua «area politico culturale» (lui la chiama così).
In realtà prende forma, dentro al corpaccione del principale partito di opposizione, una corrente nuova di zecca. Che tiene insieme molti dei sostenitori di Bonaccini al congresso. Non tutti: non ci sono i lettiani- neo ulivisti, ormai vicini a Schlein. Non c’è Matteo Orfini, che comunque da sinistra non si sente troppo affine all’ala moderata. Come ovviamente non ne farà parte Gianni Cuperlo, che di corrente ne ha una sua e che ieri invitava i colleghi: «Fatela, una corrente, il pluralismo non è mai un peso». Ma lo sconfitto delle primarie, almeno per ora, riesce a saldare un fronte piuttosto vasto. Da Base riformista di Lorenzo Guerini, più critico con la nuova leader, a Brando Benifei che viene da sinistra e da capodelegazione Ue ha un profilo più unitario, ai cattolici di Graziano Delrio. Ora appunto tocca strutturarsi. Con un coordinatore nazionale: il profilo ideale sarebbe quello di Alessandro Alfieri, moderato ma non belligerante con Schlein. Ma è già in segreteria, con la delega a Riforme e Pnrr. Le alternative potrebbero essere Simona Bonafè o Simona Malpezzi. Altri ancora assumeranno gli incarichi nelle regioni, per attrezzare le truppe.
Lo scopo è chiaro: dare una casa a quel pezzo di iscritti che non è in linea con l’anima movimentista di Schlein. Strizzare l’occhio a chi su alcuni temi clou la pensa diversamente dalla segretaria. Divergenze che ieri sono affiorate sul palco. Ecco Delrio: «Schlein è tutti noi, ma dobbiamo essere coinvolti, non vissuti come grilli parlanti. Non possiamo diventare il partito del segretario. Se il capo-cordata sbaglia, va detto». Guerini: «È la prima volta che c’è un segretario eletto non col 70%, maper pochi punti. Nessuno può pensare di essere autosufficiente. Giusto dire non seghiamo il ramo su cui siamo seduti, ma sono preoccupato per l’albero. Se tagliano alcune radici, cade». Poi una stoccata sulla stagione renziana: «No alla damnatio memoriae , sembra che nessuno abbia fatto il ministro in quel governo ». E ancora sulla gestazione per altri: «Non possiamo confinarci nel campo del radicalismo come vuolela destra, no a forzature o diventa un problema». Alfieri è tornato a scacciare l’ipotesi scissione: «Qui restiamo, non regaliamo la nostra storia. Teniamo dentro anche chi oggi è spaesato». Piero De Luca: «Ci sono ancora troppi rancori, vanno ascoltati gli amministratori», tra cui il padre Vincenzo, governatore campano. Che ieri non c’era, ma parecchi sindaci sì. Beppe Sala, video-collegato. Giacomo Possamai, fresco di vittoria a Vicenza. Giorgio Gori, che a margine diceva: «Resto nel Pd? Sì, se non viene stravolto».
Non sarà — così almeno chiede Bonaccini — una corrente «per spartirsi le poltrone». Si parlerà di temi. Su molti, con Schlein non c’è piena sintonia. Sull’abuso d’ufficio, sull’autonomia (tutti contro Calderoli, sì, ma molti ieri hanno chiesto di spingere per un progetto “autonomista” di altro tipo e con più soldi). Sulla maternità surrogata. Anche per questo nel testo del gruppo di lavoro dei bonacciniani su “Democrazia e partiti” sono state annotate alcune richieste. Come questa: tenere una conferenza programmatica ogni anno, modello Labour, per stabilire la rotta. «Un programma da far votare agli iscritti». Dunque parola ai tesserati, che a febbraio avevano premiato Bonaccini (ma la platea è mobile). C’è già una proposta sul tavolo: una riforma istituzionale, col monocameralismo e una “Camera delle autonomie”. Era un pezzo del referendum del 2016 di Renzi. Ma, dice chi ha partecipato ai lavori, «se ne parlava anche molto prima di Renzi».