Il Tesoro
Carlo Cottarelli
Fabrizio Goria
«Il taglio delle imposte non è altro che la conferma delle misure precedenti. Ora migliorano i conti ma i mercati sono attenti alle fluttuazioni. Sedersi sugli allori con la nostra traiettoria di discesa del debito pubblico sarebbe pericoloso». Carlo Cottarelli, economista già al Fondo monetario internazionale e ora direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Milano, non nasconde le sue perplessità commentando i dati Istat sul peso dell’erario per il 2024.
La pressione fiscale aumenta, il governo dice che sta tagliando le tasse. Cosa succede?
«Sebbene si tratti di un dato di un solo trimestre, è un aumento coerente con quello che era stato pubblicato con i documenti correlati alla legge di Bilancio. Sia per il 2024 sia per il 2025 si era previsto un incremento oltre il 42% della pressione fiscale. Ma bisogna specificare alcuni aspetti».
Tipo?
«Questo taglio delle tasse da parte del governo non è un vero taglio».
Cioè?
«È una conferma delle misure presenti nel 2023. Certo, qualcosa è aumentato. Ma si tratta del taglio dei contributi iniziato con il governo di Mario Draghi e poi continuato ed esteso nel 2023. Ma bisogna chiedersi perché nonostante le aliquote siano più o meno invariate aumenta la pressione».
Perché?
«C’è stato un aumento inaspettato nel 2024 per circa mezzo punto percentuale di Pil. Vale a dire circa una decina di miliardi di euro. Le entrate sono andate meglio del previsto, secondo il governo, perché è aumentata l’occupazione. Ma non è chiara questa dinamica».
Come mai?
«La spiegazione del governo non è valida, a mio avviso».
L’Ocse lo conferma.
«Esatto. Ci sono due possibilità. La prima è l’effetto di lunga gittata delle misure per combattere l’evasione fiscale, come per esempio la fatturazione elettronica».
Secondo?
«Ci può essere un extra gettito delle varie rottamazioni che sono state fatte. Ma poi c’è una possibile terza via per spiegare il fenomeno».
Quale?
«È una situazione meno favorevole, purtroppo. Ovvero un fattore temporaneo legato a ciò che sta succedendo alla distribuzione del reddito. I salari nel 2024 sono aumentati più dei profitti. E siccome i salari sono tassati con la ritenuta alla fonte mentre i profitti sono tassati con un certo ritardo, è possibile che ci sia uno squilibrio. Questo perché le imprese continuano a remunerare sulla base dei profitti dell’anno precedente mentre invece le ritenute sono su un altro piano temporale».
Ne deriva che si sta recuperando un po’ di potere d’acquisto?
«In parte sì, perché i salari stanno crescendo un po’ sia dell’inflazione sia del Pil. Un elemento sicuramente positivo per le entrate, ma del tutto temporaneo. Il prossimo anno non sarà più così, perché chi ha fatto profitti oggi non è detto che li farà domani».
Sedersi sugli allori è difficile?
«È complicato. Specie perché il governo stima che i dieci miliardi di maggiori entrate previste oggi diventeranno quasi 20 nel prossimo anno. Anche in questo caso non ci sono state spiegazioni adeguate».
I conti pubblici?
«Bisogna dare atto al governo che c’è stato un risparmio sul disavanzo. Si è risparmiato, insomma. Dal 4% del Pil siamo intorno al 3,8 per cento. Ed è la prima volta che accade da diversi anni. Quello che si può affermare è che il comportamento è stato prudente e cauto. Detto questo, tuttavia, c’è di più. Il piano di rientro del deficit è in linea con le regole europee, che non sono particolarmente rigide. E il vantaggio è che se un Paese è a posto con il deficit, con il Pnrr, con gli squilibri macroeconomici, potrebbe essere idoneo ad avere un supporto da parte della Banca centrale europea (Bce, ndr) in caso di pressioni non tanto dovute a questioni di politica interna quando a quelle esogene».
Un eventuale contagio sui mercati, quindi.
«Proprio quello. E ci sarebbe il Transmission protection instrument (Tpi), uno strumento che può essere attivato qualora fosse necessario».
Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti è stato bilanciato?
«È stato prudente. Si sono risparmiati circa 10 miliardi di euro nel 2024 e l’obiettivo di deficit è stato rivisto al ribasso anche nel 2025. Da notare c’è che la proposta inviata alla Commissione Ue c’era margine per spendere di più. Si è deciso di non farlo».
Decisione corretta?
«Sì. Semmai la domanda è perché l’opposizione non ha attaccato il governo su questo punto. (sorride). Anzi, mi permetta una battuta, che in realtà non lo è. L’esecutivo a oggi è più rigoroso di quanto richiesto dalla Commissione Ue».
È sorpreso?
«Non si può di certo criticare il governo sotto questo punto. Si tratta di un elemento che ha contribuito ad abbassare lo spread e quindi a risparmiare soldi in interessi passivi sul debito. Però deve essere mantenuto nel tempo. Quello che è inoltre significativo è che i bassi livelli di spread ci siano in un momento in cui la Bce non sta acquistando titoli di Stato».
Però la rete di protezione deve essere corroborata da fatti.
«Corretto. Ed è per questo motivo che bisogna spingere sull’acceleratore nella riduzione del rapporto fra debito pubblico e Pil, che purtroppo è lenta».