ROMA — Prima una chiacchierata con Riccardo Magi, segretario di +Europa, che le ha chiesto di «aprire subito un tavolo politico del centrosinistra, le coalizioni si costruiscono sui temi e sui programmi, le foto opportunity non bastano più». Poi, un veloce scambio di battute con il leader di SI Nicola Fratoianni. Dopodiché, non appena ha avvistato Giuseppe Conte seduto in Transatlantico, Elly Schlein lo ha raggiunto e, insieme, si sono allontanati per discutere in separata sede la questione più calda del momento: come far decollare l’alternativa alla destra, in che tempi e soprattutto con chi.
Convitato di pietra, Matteo Renzi, il capo di Italia viva che a sorpresa si è infilato nella formazione progressista senza consultare i giocatori, che non l’hanno presa benissimo. O almeno non tutti. Quel che subito dopo, sempre alla Camera, si son detti in un lungo colloquio lo stesso Conte e il tandem rossoverde Fratoianni e Bonelli, pronti a fare asse per sbarrare la strada all’ex rottamatore che «per noi è un problema, ci fa perdere più voti di quanti ne porta».
È la dura vita della federatrice. Ruolo che la segretaria del Pd intende interpretare fino in fondo, insistendo — anche a costo di suscitare qualche malumore — sulla linea del «noi non mettiamo veti, ma non vogliamo neppure subirne». Lezione che i partner della possibile coalizione faticano a digerire.
Ieri, nell’ultimo giorno di lavori a Montecitorio prima della pausa estiva, Schlein in blazer color glicine hacercato e si è confrontata con gli altri leader del centrosinistra: mancava giusto Carlo Calenda, ma solo perché è senatore (il dialogo fra i due è costante). Innanzitutto «per serrare i ranghi» in vista delle regionali in Liguria, Emilia Romagna e Umbria, test cruciale per l’alleanza in formato extralarge, realizzare un triplete, mandare un segnale chiaro al governo: «L’alternativa c’è». Esattamente il clou del fitto colloquio, condito da baci e abbracci, con il presidente dei Cinquestelle. I quali sono preoccupati, come la sinistra, che il Pd faccia la parte del leone: «I candidati governatori non li possono esprimere tutti loro», rumoreggia la base grillina. «È una questione di equilibri interni alla coalizione», conferma Fratoianni, rivendicando pure lui più voce in capitolo in virtù dei risultati ottenuti da Avs alle Europee. «La politica non è una partita di calcio e nemmeno di beneficenza», la frecciata indirizzata a Renzi, che alla partita del cuore ha giocato d’assist con l’inquilina del Nazareno, convincendola a prenderlo in squadra.
«A Genova non puoi sostenere il totismo e in Regione schierarti contro, così perdiamo di credibilità tutti », rincara Bonelli. Chiaro riferimento alla Liguria dove Iv, pur stando dentro la giunta Bucci, si è dichiarata disponibile ad appoggiare il dem Andrea Orlando insieme al resto del campo largo. «Ora urge costruire un’alleanza che metta al centro un programma che non produca gli errori del passato», taglia corto il deputato verde. Un passato che, manco a dirlo, ha la faccia di Renzi.
Non è l’unico argomento di frizione. L’ altro riguarda la mossa del presidente del Senato, Ignazio La Russa, che ieri ha deciso di designare d’imperio i componenti della Commissione Covid che le opposizioni per protesta avevano rifiutato di indicare. Scelta che ora rischia di spaccare il fronte. Il M5S è infatti deciso a partecipare, mentre il Pd ha grossi dubbi. Gli ex ministri Speranza e Franceschini sono per l’Aventino: altrimenti, è il ragionamento, si creerebbe un pericoloso precedente per cui ogni nuova maggioranza potrebbe istituire una bicamerale d’inchiesta su chi ha governato prima. Francesco Boccia è invece per non lasciare soli coloro che verranno “processati” dalla destra: si tratti dell’ex ad di Invitalia o del capo della Protezione civile. Un’altra crepa nel nascente campo largo.