Nel ddl una spesa ancora non quantificata. Tajani: “Costerà meno della truffa del Superbonus” Le opposizioni: “Soldi buttati nel cestino”. E quelle di Tirana dichiarano l’intesa incostituzionale
ROMA — Quanto costerà veramente il protocollo Albania, nessuno lo sa. Perché agli oltre 60 milioni di euro già messi nero su bianco nel disegno di legge di ratifica, approvato martedì in Consiglio dei ministri, si aggiunge un misterioso «fondo da ripartire, con dotazione iniziale di euro XXXX per il 2024 e di euro XXXX per ciascuno degli anni dal 2025 al 2028» che promette di far lievitare i costi.
Un giallo, quello della copertura finanziaria, che dovrà essere risolto al momento della “bollinatura” al ministero dell’Economia. Neanche i ministri che hanno lavorato alla messa a terra del protocollo hanno idea di quanto costerà alle casse dello Stato mandare a zonzo tra acque internazionali, Albania e Italia qualche migliaio di migranti e mettere in piedi la macchina necessaria per far funzionare l’hotspot e il centro rimpatri. «Lo stanziamento necessario è di certo inferiore a quanto emerso sulla stampa», ha assicurato ieri durante il question time alla Camera il ministro dell’Interno MatteoPiantedosi, riferendosi alla cifra di cento milioni che era circolata sulla base di una stima fatta dai tecnici dei ministeri. Ma il titolare degli Esteri Antonio Tajani dice: «Provo a fare chiarezza: siamo sotto i 200 milioni, molto meno di quanto è costata la truffa del superbonus».
Tutto questo mentre in Albania le forze di opposizione al governo di Edi Rama, prima della ratifica in Parlamento prevista per il 21 dicembre, chiedono alla Corte costituzionale di annullare l’accordo, ritenendolo incostituzionale e contrario alle convenzioni internazionali cui l’Albania aderisce. Sessanta milioni, cento, duecento, o chissà quanti: cifre comunque stratosferiche rispetto al numero di migranti che realisticamente potranno finire nei centri albanesi, non più di 7-800 all’anno ( assai meno dei 36.000 annunciati da Giorgia Meloni). E quintuplicate rispetto alle somme che basterebbero per realizzare gli orami celebri dieci nuovi Cpr, di cui si è persa ogni traccia. Ma Piantedosi taglia corto: «Sono risorse che rappresentano un investimento sul piano della gestione dei flussi migratori, da valutare anche in relazione alle possibili compensazioni rispetto ai costi che gravano sul sistema nazionale di accoglienza a causa dei massicci arrivi dei migranti».
Ma le opposizioni protestano e annunciano battaglia in Parlamento: «È solo un altro spot elettorale di Giorgia Meloni in vista delle elezioni Europee, da fare a spese degli italiani — dice Alfonso Colucci, capogruppo M5S in commissione Affari costituzionali — Il nostro Paese non avrà alcun vantaggio dall’accordo sui migranti con l’Albania. Costerà ai cittadini centinaia di milioni, una spesa enorme, per appena 720 migranti al mese che potranno essere ospitati nei centri in Albania, sempre che il governo italiano riesca a garantire il pieno turn over mensile ». «Adesso iniziano le note dolenti dei costi», obietta anche il deputato dem Matteo Mauri, vicepresidente della commissione Affari costituzionali, parlando di «soldi che vengono letteralmente buttati nel cestino. Eche si potrebbero risparmiare, evitando l’operazione di pura propaganda di un governo che deve fare i conti con il clamoroso fallimento della gestione dell’immigrazione. Fare in Albania quello che si dovrebbe fare in Italia non risolve nessun problema e costa, come è ovvio, immensamente di più». Boccia l’accordo pure Davide Faraone di Iv: «Lo storico accordo sui migranti con l’Albania si sta rivelando una storica presa per i fondelli, pagata a caro prezzo dagli italiani».
Anche le associazioni del Tavolo Asilo puntano l’indice contro i costi dell’operazione Albania: «Il governo – dice Filippo Miraglia — con scopi chiaramente elettorali che nulla hanno a che fare con l’interesse nazionale, continua ad alimentare paure sperperando milioni per un risultato ridicolo in termini numerici che verrà certamente bloccato dai tribunali italiani ed europei. Questa spesa andrebbe inserita tra le spese elettorali della maggioranza e non nel bilancio dello Stato».