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Nelle città antiche, dove le pietre ricordano più degli abitanti, circolano talvolta presenze minori: ombre, gesti sospesi, piccole ostinazioni che insistono senza mutare.
Fra queste, si racconta di un dito solitario, non legato a una mano, né a un corpo, né a un pensiero coerente.
Un dito che aveva fatto del proprio movimento una missione: cercare un occhio in cui affondare, come se da quel gesto dipendesse la sua ragione d’essere.
Il dito non cercava un dialogo.
Cercava un bersaglio.
E ogni bersaglio, per lui, aveva un solo significato: l’occhio da raggiungere.
Per anni seguì una figura che camminava per la città con passo tranquillo, uno di quei passi che non devono dimostrare nulla, perché già portano un mondo interiore.
La figura osservava, studiava, rifletteva.
E il dito, irritato, confondeva quella calma con una provocazione.
Ogni giorno tentava la stessa traiettoria, convinto che insistere bastasse a colmare la distanza fra il gesto e il senso.
Ma il tempo ha un talento particolare: smaschera i movimenti che non evolvono.
E ciò che un tempo poteva sembrare coraggio, ora appariva soltanto inerzia.
A poco a poco, la città si accorse che non era l’occhio a mancare: era il dito a non avere più direzione.
Il mondo attorno si era trasformato — nuovi fatti, nuove domande, nuove responsabilità — e il dito, rimasto fedele al suo unico repertorio, non riusciva ad adattarsi.
Continuava a cercare un occhio, certo.
Ma non lo trovava più.
Non perché fosse scomparso, ma perché guardava altrove: verso ciò che contava davvero.
La figura proseguiva il suo cammino, senza ostilità e senza fretta.
Semplicemente, aveva scelto di vedere ciò che il dito non avrebbe potuto toccare.
E fu allora che la città comprese ciò che il dito non avrebbe mai ammesso:
che non era l’occhio a essersi sottratto,
ma il mondo a essersi accorto che quel gesto non colpiva più nulla da tempo.
La figura avanzò oltre, senza voltarsi.
Il dito rimase sospeso, fedele al gesto che non feriva nessuno.
Il resto lo fece il silenzio.
Perché il vuoto — lo imparano solo i gesti che non sanno cambiare —
non restituisce mai niente, se non la misura esatta della propria inutilità.




