Francesco Moscatelli
I ministri leghisti Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti sono i gemelli diversi di Cernobbio. Uno ha il gessato, la cravatta e l’«Albertino» appuntato sul bavero. L’altro affronta l’assalto dei fotografi – «Mamma mia ragazzi, mi avete abbronzato» – in giacca e camicia, senza cravatta e senza simbolo di partito. Uno predica cautela, l’altro dispensa ottimismo: «Possiamo essere protagonisti di una grande rivoluzione industriale sociale, economica e ambientale pari a quella del secondo Dopoguerra».
E non è finita. Salvini si presenta con una carrellata di slide che spiegano come «da qui a qualche anno» intende «mettere a terra» 220 miliardi per le infrastrutture, critica l’Europa che pretende di porre «obiettivi green sempre più ambiziosi e vincoli di bilancio sempre più stringenti» e arriva a immaginare di poter tagliare il nastro della prima centrale nucleare italiana perché «il governo durerà per tutta la legislatura e anche oltre». Giorgetti, che ai file PowerPoint preferisce un foglio scritto, ribadisce che il governo farà «una legge di bilancio prudente» e non nasconde tutta la sua preoccupazione per gli effetti che la brusca frenata tedesca potrà avere nel 2024 sulla crescita italiana. Uno, dovendo scegliere un avversario politico da attaccare, si scaglia contro il superbonus del governo Conte. L’altro, dopo aver risposto «all’invasione di campo» del collega vice-premier Antonio Tajani sulla privatizzazione dei porti, punzecchia il ministro degli Esteri dicendo di «non voler offrire chiavi in mano alla Cina il futuro del nostro Paese» proprio nel giorno in cui il ministro degli Esteri atterra a Pechino per gestire l’affaire Via della Seta. Quindi, quasi a voler vestire i panni del ministro degli Esteri ombra, aggiunge: «Col collega francese sto lavorando in maniera assolutamente sintonica». E ancora: Giorgetti parla di tagli e di rigore, Salvini del cantiere del Ponte sullo Stretto di Messina che aprirà addirittura nel luglio 2024, un mese prima del previsto.
Interpretano ruoli diversi, agevolati in questo dal fatto che il portafoglio del ministro delle Infrastrutture è in qualche modo preservato, trattandosi di investimenti e di fondi Pnrr, dalla scure che rischia di abbattersi sulla spesa corrente. L’unica grossa incognita resta la questione Ponte sullo Stretto. Da dove arriveranno i fondi per aprire i primi cantieri in meno di 12 mesi?
Il doppio gioco di Salvini e Giorgetti, al di là delle possibili tensioni sul ponte, è funzionale anche al piano leghista in vista delle elezioni europee del 2024: riguadagnare consenso a scapito degli alleati di governo senza per questo compromettere la tenuta dell’esecutivo. Il bersaglio grosso è Forza Italia. Si sono divisi i ruoli. Salvini fa il politico, destreggiandosi fra una telefonata con il generale Roberto Vannacci, l’inaugurazione di una tangenziale e un attacco a Tajani, Giorgetti il super-tecnico, che piuttosto che dire mezza parola fuori posto tace.
Ieri, Salvini e Giorgetti, più che incrociarsi si sono sfiorati. Il ministro dell’Economia è entrato nella sala in cui stava parlando Salvini a conferenza già iniziata, il segretario della Lega l’ha salutato a suo modo dal palco dicendo che il lago di Como è il più bello del mondo «con tutto il rispetto per il lago di Varese e per il ministro Giorgetti». Una battuta fatta in pubblico che, a detta di chi li conosce bene, è in realtà il sintomo della ritrovata sintonia fra i due. Come se le incomprensioni maturate all’epoca del governo Draghi, quando Giorgetti era il più «draghiano» dei ministri e Salvini il più riluttante fra gli azionisti della maggioranza, siano ormai acqua passata.
Dopotutto è l’intera Lega a essersi stretta, negli ultimi mesi, intorno al segretario. Consapevole, forse, che solo un partito unito può pensare davvero di fare concorrenza alla corazzata meloniana. I segnali più forti, in questo senso, sono venuti dal Nord Est dagli altri due pesi massimi del Carroccio: Luca Zaia e Massimiliano Fedriga. Prima il congresso «nazionale» veneto vinto dal salviniano Alberto Stefani, dopo il ritiro al fotofinish dell’assessore regionale Roberto Marcato, poi gli incontri romagnoli di questa estate fra Salvini e Fedriga. I due si sono visti a pranzo il 30 luglio a Milano Marittima e poi di nuovo a Rimini nei giorni del Meeting. Tutte le questioni scottanti, dalla collocazione europea del partito all’eventuale contendibilità della leadership, sono state messe in stand-by. Se ne discuterà dopo il voto europeo, quando si capirà anche se la strategia del partito a due volti avrà funzionato. A volersi basare sugli apprezzamenti riservati dal pubblico del Forum Ambrosetti a Giorgetti i primi segnali sono incoraggianti. Il ministro, però, non si scompone. «Gli applausi? Non li ho sentiti, ero troppo concentrato» dice prima di scappare via in auto.