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Il capitano della Caio Duilio dopo l’attacco Houthi
di Fabrizio Caccia
Il capitano di vascello Andrea Quondamatteo («Da piccolo a scuola per imparare a scrivere il mio cognome ci misi un po’…»), 47 anni, di San Benedetto del Tronto, è il comandante della Caio Duilio. È stato lui sabato sera a dare l’ordine di abbattere il drone degli Houthi, il cui obiettivo era proprio la nave gioiello della nostra Marina Militare. La sua nave. Il giorno dopo ci risponde da bordo, attraverso un complicato ponte telefonico.
Ci racconta quello che è successo, comandante?
«Eravamo in pattugliamento a sud, nel tratto prospiciente alle coste yemenite, in acque internazionali. A un tratto c’è arrivato un “eco radar” sconosciuto, il segnale era a 8 miglia di distanza. Un profilo in movimento, a bassa quota e in rapido avvicinamento. Minaccioso. Un drone? Un missile? Un aereo? Così, prima gli abbiamo lanciato delle chiamate di avvertimento, invitandolo a cambiare rotta».
Risposta?
«Nessuna. Ma era già passato il tramonto, il Mar Rosso era buio, per essere sicuri su come agire serviva un riconoscimento ottico, così abbiamo usato le telecamere a infrarossi del radar di tiro. Quando il profilo è arrivato a 6 miglia, abbiamo visto che non era un aereo alleato. I sensori di bordo hanno inquadrato un drone della stessa tipologia e comportamento di quelli che nei giorni scorsi si sono resi autori degli attacchi al traffico mercantile in area».
Un drone.
«Esatto. E a quel punto era ormai a 4 miglia, non c’era altro da fare. Così ho preso la decisione. Dovevo difendere la mia nave e il mio equipaggio e ho dato il comando all’operatore del radar di tiro: il cannone di prora dritta ha sparato 6 colpi, dopo pochi secondi l’apprezzamento ottico ci ha confermato l’abbattimento. Nave Duilio ha reagito per autodifesa».
Quando i comandanti delle navi italiane mi hanno scritto
per dirmi
grazie, io mi sono commosso
In tanti, il governo in testa, vi hanno fatto i complimenti. L’ammiraglio Enrico Credendino, Capo di stato maggiore della Marina Militare, ha ricordato che dal «mantenere aperte le vie marittime dipende gran parte dell’economia e del benessere» del nostro Paese.
«Ho molto apprezzato le sue parole e le ho trasmesse subito ai 234 membri del mio equipaggio, uomini e donne, che affrontano quaggiù enormi sacrifici per proteggere i mercantili. Mio padre Benedetto, ora in pensione, era un capitano di lungo corso, comandava anche lui i cargo. Così, dopo il drone abbattuto, quando mi hanno scritto per ringraziarmi i comandanti della Jolly Rosa e della Grande Baltimora, navi italiane, mi sono commosso. Ho pensato a mio papà e a mia mamma Fiorella che non c’è più. Lei per anni ha fatto da madre e da padre a me e mio fratello, perché a casa i comandanti non ci sono quasi mai. Io ho tre figli: la nostra è una vita di orgoglio e rinunce».
Anche i social ieri sono impazziti, c’è chi ha paragonato la Duilio addirittura a Mosè, capace di aprire le acque del Mar Rosso…
«Esagerati. Noi marinai siamo gente umile».
«Nave Duilio è nel Mar Rosso da un mese, la nostra è un’operazione nazionale, prima di noi a pattugliare queste acque pericolose c’erano la Virginio Fasan e poi la Federico Martinengo. L’ammiraglio Costantino era presente, certo, ma ho deciso io in maniera autonoma l’abbattimento del drone».
Il motto della Duilio è «Nomen Numen». Vi si riconosce?
«La forza sta nel nome, già. Caio Duilio, il console romano che sconfisse le navi cartaginesi. Diciamo che spero di esserne all’altezza, ma è anche vero che quando penso ai grandi ammiragli italiani, uno su tutti, Paolo Thaon di Revel, mi tremano le gambe. La storia della Marina, però, è fatta anche da donne: qui l’ufficiale medico, l’ufficiale della logistica e il direttore di macchina, sono donne. È una donna che dà propulsione alla Duilio. E al mondo».