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24 Ottobre 2024Contro Ippocrate L’imposizione ai medici di denunciare i bambini nati da quello che è stato definito un “reato universale” va ben oltre il caso di specie, gettando un’ombra fosca sul principio stesso della “scienza e coscienza”
«Giuro per Apollo medico e per Asclepio, che adempirò secondo le mie forze e il mio giudizio questo giuramento e questo patto scritto. Sceglierò il regime per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, e mi asterrò dal recar danno e offesa. Tutto ciò ch’io vedrò e ascolterò nell’esercizio della mia professione, o anche al di fuori della professione nei miei contatti con gli uomini, e che non dev’essere riferito ad altri, lo tacerò considerando la cosa segreta. Se adempirò a questo giuramento e non lo tradirò, possa io godere dei frutti della vita e dell’arte, stimato in perpetuo da tutti gli uomini; se lo trasgredirò e spergiurerò, possa toccarmi tutto il contrario».
Questo è il testo del Giuramento di Ippocrate, al quale i medici di ogni tempo e luogo sono tenuti senza eccezione alcuna. È un giuramento, cioè la più alta forma di impegno personale preso non solo verso la comunità umana, ma sancito da un principio metafisico, dallo Spirito stesso della Vita, al quale il medico è al servizio. Chiedere dunque ad un medico di tradire il suo giuramento significa in primis ignorare il fondamento sacro, cioè intoccabile, sul quale esso si basa, a maggior ragione se questa ingiunzione viene da una carica istituzionale.
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E allora il vulnus che potenzialmente si vuole portare con l’imposizione ai medici di denunciare i bambini nati da quello che è stato definito un “reato universale” va ben oltre il caso di specie, gettando un’ombra fosca sul principio stesso della “scienza e coscienza” faro e stella polare di ogni attività di cura. Chi scrive è un vecchio medico con alle spalle decenni di carriera in pronto soccorso, teatri di guerra, servizio sanitario nazionale, prigioni; un medico come tanti altri insomma, che ha visitato e curato come esseri umani bisognosi, ladri, assassini, guerriglieri, tossicomani, malati mentali e via enumerando.
Il momento della cura, della clinica, cioè del chinarsi verso il malato, è uno dei momenti più alti della Fratellanza, del portare ad effetto quella Dichiarazione dei Diritti Universali che ancora regge le sorti di questa globalizzazione centrifuga. E dunque non si chieda ai medici di diventare dei semplici biocrati al servizio, non di principi realmente universali, ma di convenienze politiche contingenti, di rinnegare le fondamenta stesse della loro ars medendi, il segreto professionale che è parte integrante ed imprescindibile di ogni cura.
Chi potrebbe mai più fidarsi di un medico che tradisce il segreto professionale? E a maggior ragione se lo facesse sulla pelle di un minore il cui Diritti, questi sì universali, sono tra l’altro sanciti dalla Convenzione Onu sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza approvata dalle Nazioni Unite nel 1989 e ratificata dall’Italia nel 1991, che sancisce tra i principi fondamentali: la non discriminazione, e cioè che i diritti sanciti dalla Convenzione devono essere garantiti a tutti i minorenni, senza distinzione di razza, sesso, lingua, religione, opinione del bambino/adolescente o dei genitori, il superiore interesse, cioè che in ogni legge, provvedimento, iniziativa pubblica o privata, l’interesse del bambino deve avere la priorità, ed infine, il diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo del bambino, che gli Stati devono impegnarsi a sostenere con più risorse disponibili. Così oltre tutte le Convenzioni Internazionali in materia di migrazione, Diritto del Mare e via elencando, già ampiamente violate, ci si chiede di violare anche questa? La nostra risposta è no.