«Penso di essere naturalmente portata verso le storie lugubri. Mi addentro in sfrenate fantasticherie che vorrei poter inserire nelle mie pagine, per metterle in scena davanti al pubblico. Ma come potrei osare interferire con il rispettabile grigiore della vecchia Concord?»: così Louisa May Alcott in una lettera ad un’amica, dove sottolineava sarcasticamente la distanza tra ciò che i lettori si aspettavano di trovare nelle sue pagine e quanto lei era più propensa a riversarvi.
Non è un caso se l’autrice di Piccole donne pubblicò tutti i suoi romanzi gotici sotto pseudonimo, facendone testi molto diversi da quelli che ci aspetteremmo. Fra questi, L’amuleto d’ambra. Un racconto dell’India coloniale (a cura di Daniela Daniele, Elliot edizioni, pp. 144, € 15,00), breve testo a sensazione che è fra i lavori di una Alcott inedita, più libera di addentrarsi nei meandri del racconto, e sempre dotata di una raffinata capacità di gestione della forma.
Adattamento della Casa a vapore di Jules Verne, il testo non datato è la rielaborazione di un racconto pubblicato sul «Frank Leslie’s Lady’s Magazine» nel febbraio del 1870 con il titolo «La bella baiadera» ed è stato ritrovato da Daniela Daniele presso la sezione di libri rari della Houghton Library dell’università di Harvard. Alcott aveva fama d’essere un’infaticabile lavoratrice, e, proprio per questo motivo, oltre ai frequenti esaurimenti, sul finire degli anni ’80 del 1800, le venne suggerito di revisionare storie già ideate; ragion per cui L’amuleto d’ambra fece la sua ricomparsa, pronto a far parlare ancora i suoi personaggi, in una veste nuova rispetto alla prima stesura.
Ambientato tra una selvaggia e bellicosa India coloniale e una fascinosa Parigi dai teatri gremitissimi, il romanzo è intriso di una straordinaria, imprevista complessità, in netto contrasto con quelli domestici al femminile. La scrittrice americana vi narra le avventurose e misteriose vicende dell’ufficiale inglese Duke Gordon, e della bella Almèe/Oda Jex, nella quale disegna un ironico autoritratto.
Storie e personaggi sembrano usciti dal baule della Jo di Piccole donne, in cui la scrittrice di Concord, cittadina di raffinati intellettuali, plasma ambientazioni al limite tra sogno e realtà, e in cui l’elemento della guerra, con la rivolta dei Sepoy, permea quasi tutto il primo capitolo, distribuendosi in vividi dettagli. Anche la guerra di secessione, durante la quale Alcott prestò servizio come infermiera, le avrebbe fornito metafore e materiale narrativo per gli anni a venire. Buona parte de L’Amuleto d’ambra è ambientato a Parigi, città visitata dalla stessa autrice, e vuole essere un omaggio all’opulenza del teatro vittoriano e all’attrice bostoniana Charlotte Cushman. Mentre passato e presente vi si mescolano fluidamente, la femminista, suffragetta, nonché abolizionista Alcott include temi a lei cari, per esempio quello dello schiavismo, ponendo in netto contrasto la natura «ferina» di Oda Jex con la cultura egemonica dell’ufficiale inglese Gordon, in una miscela esplosiva di esotismo ed erotismo.
Lontana dalle ambientazioni di Piccole donne, la scrittrice che si fa strada in queste pagine è semmai più vicina alla rappresentazione che di lei offrì Charles Ives, nella sonata scritta in onore di padre e figlia, fra placida lentezza e frenesia di note veloci.