ROMA — La nuova minaccia che arriva dalla Cina spiazza il governo che aveva allentato le misure anti-Covid. È un ciclone improvviso: il ministro Orazio Schillaci prende la decisione dei tamponi obbligatori per chi arriva dal Gigante asiatico quasi trascinato dalle Regioni, in primis dalla Lombardia che aveva avviato il monitoraggio a Malpensa. Schillaci decide nel primo pomeriggio, dopo aver parlato con Guido Bertolaso, assessore della giunta Fontana. E nel pomeriggio va a relazionare ai colleghi in Consiglio dei ministri. Il governo tenta la linea del rigore, fa sapere che chiederà agli altri Paesi Ue un raccordo sulle misure di controllo, ma l’incubo che presto si materializza — a Chigi e dintorni — è quello di una nuova retromarcia. E stavolta sulla materia più delicata, la tutela della salute. Il caso vuole che, mentre l’ex rettore chiamato nell’esecutivo Meloni è costretto a un giro di vite determinato dall’aumento dei contagi, alla Camera vadano in discussione — dentro al dl Rave — tre provvedimenti all’insegna del “liberi tutti” che nelle settimane scorse erano stati voluti proprio dal governo. Il decreto, oltre a sancire in modo definitivo il reintegro dei medici No Vax, alleggerisce la disciplina dell’isolamento per chi ha contratto il virus e abolisce l’obbligo del tampone o del Green pass per chi entra nelle Rsa. C’è, in questa contemporaneità, tutto il senso di una precedente sottovalutazione del problema da parte di chi, forse troppo presto, aveva detto che l’emergenza era finita. Specie se risultasse vero che, come dice l’ex ministro pd Francesco Boccia senza smentita, le notizie negative sulle varianti cinesi fossero già da diversi giorni a conoscenza del ministero della Salute. Fra i banchi dell’opposizione, ma anche in alcuni settori della maggioranza, c’è chi ricorda come nel suo discorso alle Camere Giorgia Meloni non citò mai l’importanza dei vaccini.
Il Covid? Era stato rimosso, forse esorcizzato, certamente accantonato per contrastare l’approccio «troppo ideologico» dell’ex ministro Speranza. I suoi vincoli cancellati anche per lisciare il pelo di una buona fetta di elettori di centrodestra. Fra i governatori che negli anni scorsi sono stati in prima linea contro la pandemia (anche di centrodestra, zona Nordest) c’è chi è stupito dal fatto di non aver mai sentito neppure al telefono il ministro Schillaci. E le Regioni, racconta Boccia, «non hanno mai ricevuto una circolare con cui dare il via libera ai “richiami” dei vaccini per i bambini. Eppure l’Aifa ha concesso l’autorizzazione il 18 novembre, dopo che l’Ema si era pronunciata qualche giorno prima. E le fiale restano in frigo».
Quello che il governo aveva voluto far passare era stato un messaggio mediatico positivo, di fiducia, in linea con i dati — specie quelli su ricoveri e decessi — in netto miglioramento e con la voglia generale di mettersi alle spalle l’incubo della pandemia. Ma la domanda ora è: si potevano usare maggiori accortezze? Le vie d’uscita sono state percorse troppo velocemente? Quel che è certo è che il rischio che ancora una vo lta atterra in Italia dalla Cina impone a un governo amato dai No Vax (almeno più del precedente) di correre ai ripari. Senza ancora una linea precisa: tamponi, sequenziamento, quarantena per i positivi provenienti dalla Cina, e poi? «Valuteremo ulteriori provvedimenti », si limita a dire la sottosegretaria alla Salute Wanda Ferro. Con il timore — tutt’intorno — di dover spiegare eventuali nuovi provvedimenti restrittivi a un’opinione pubblica cui era stato promesso il contrario. E Forza Italia, che dai primi vagiti del governo Meloni aveva messo in guardia sul pericolo di eccessivi rallentamenti nel contrasto al Covid, adesso sferza gli alleati: «L’ordinanza del ministro Schillaci — dice la capogruppo al Senato Licia Ronzulli — va nel senso di una doverosa tutela della sicurezza dei cittadini. Aspettiamo gli esiti di test e sequenziamenti, ma il criterio dovrà essere quello rigoroso della scienza. E la nostra linea non cambia: invitiamo tutti a vaccinarsi». Più esplicito il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè: «Comanda la scienza, non il pregiudizio. Finito il tempo delle misure prese in allegria. Se il virus ribussa alla porta, non puoi che ricorrere ad atti di prevenzione».