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di Giovanni Bianconi
Le trattative per la gestione delle proteste
ROMA Assicura il ministro Piantedosi che «il rischio di incidenti e di scontri è pari a zero se i manifestanti non pongono in essere comportamenti pericolosi o violenti, rispettando le regole». Una constatazione quasi ovvia, che però nel clima creatosi dopo gli scontri di una settimana fa rischia di essere meno scontata di quanto ci si potrebbe aspettare. Perché nel «rispetto delle regole» il responsabile del Viminale inserisce, ad esempio, l’avviso delle manifestazioni e la comunicazione del percorso tre giorni prima dei raduni, ma in vista del corteo annunciato per sabato a Pisa questo non è ancora avvenuto. E chissà se avverrà, visto che per adesso gli organizzatori non hanno risposto alle chiamate della Questura. Del resto, se tra loro c’è chi reclama le dimissioni del questore dopo le manganellate sugli studenti di venerdì 23 febbraio, è difficile immaginare che accettino di rispondere ai suoi appelli.
Quella di domani si annuncia come un’altra giornata complicata per l’ordine pubblico. Nella città della torre pendente è stato lanciato un appuntamento con lo slogan «in piazza contro bombe e manganello»; le bombe sono quelle sganciate sulla Palestina, i manganelli chiamano in causa direttamente l’Italia e il governo in carica, attraverso le forze di polizia che saranno anch’esse in piazza per evitare degenerazioni. Da parte di chiunque. Se i manifestanti non accetteranno di concordare un percorso (com’è successo venerdì scorso, secondo la ricostruzione fatta dal ministro), per evitare l’avvicinamento ai cosiddetti «obiettivi sensibili» (sinagoga, cimitero ebraico e altri luoghi considerati a rischio assalto) i responsabili dell’ordine pubblico dovranno scegliere tra due opzioni: seguire il corteo e decidere sul momento le chiusure necessarie, con tutte le incognite del caso, o limitarsi a presidiare i posti dove i manifestanti non devono arrivare.
Anche a Firenze ci sarà un raduno, annunciato davanti al consolato statunitense che a sua volta è considerato un sito da proteggere, e dunque sono in corso trattative per cercare di spostare altrove il concentramento. Ma più in generale, in tutte le piazze d’Italia dove sono previsti cortei — da Milano a Roma, ad altri capoluoghi — le forze dell’ordine cercheranno di indirizzare i percorsi e saranno chiamate a preservare più di un possibile bersaglio delle contestazioni.
Il Quirinale
Filtra «serenità», non c’è alcun bisogno di mostrare la vicinanza alle forze dell’ordine
Si tratta di scelte tecniche, da valutare città per città, che però hanno acquisito un valore squisitamente politico, visto che da una settimana i partiti si accapigliano sugli incidenti di Pisa e Firenze. Tutti si dicono d’accordo con le parole del presidente Mattarella (l’allarme per le manganellate sui ragazzi sintomo di «un fallimento», ma pure le solidarietà ai politici colpiti da iconiche offese durante i cortei, e ai poliziotti aggrediti mercoledì a Torino), ma subito dopo si dividono accusandosi l’un l’altro: chi di fomentare la repressione sui dimostranti e chi gli insulti e gli assalti alle divise. E quando la premier Giorgia Meloni ha evocato il pericolo che «le istituzioni» tolgano sostegno alle forze dell’ordine ha scelto un termine così ampio da poter essere letto come richiamo alle opposizioni ma persino al Quirinale; un altro elemento che accende gli animi del dibattito politico, anziché placarli. Sebbene dal Colle continui a filtrare la «serenità» del capo dello Stato, che non ha alcun bisogno di mostrare la propria vicinanza agli uomini e le donne in divisa.
Anche l’informativa di Piantedosi può suonare come il tentativo del governo di sminuire — o quantomeno «relativizzare» — le responsabilità di chi, sul campo, non ha fatto le scelte giuste. La decisione di lasciare al proprio posto, almeno per adesso, i vertici cittadini della sicurezza dimostra la volontà non solo di non scaricare la polizia, ma di confinare tutto a eventuali singoli errori nella gestione del singolo evento. La sostituzione della dirigente del Reparto mobile di Firenze, peraltro divulgata come un avvicendamento già previsto, è finora l’unica risposta del Viminale; per il resto si attendono i risultati dell’inchiesta avviata dalla magistratura, che ha già in mano molti elementi trasmessi proprio dalla Questura di Pisa e ha affidato le deleghe d’indagine alla stessa polizia. Un segnale di fiducia nei confronti dell’istituzione finita al centro delle polemiche e degli accertamenti.
Nella ricostruzione del ministro in Parlamento si parla di una «carica di alleggerimento per allentare la pressione dei manifestanti» sullo schieramento di caschi e divise, ma non si dice nulla sui manganelli branditi anche dopo che la pressione s’era allentata. E la contabilità dei feriti (due funzionari di polizia e 17 dimostranti di cui 11 minorenni) lascia comunque intuire la disparità delle forze nel fronteggiamento. Si sottolinea che i quattro denunciati per resistenza a pubblico ufficiale hanno tutti precedenti «per reati attinenti all’ordine pubblico», come a dire che davanti allo sbarramento c’era pure qualche professionista (o semiprofessionista) dei disordini. E si rivendicano «equilibrio, prudenza e proporzionalità». Anche pensando ai prossimi appuntamenti.