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Il messaggio a conclusione dell’incontro per la pace di Sant’Egidio a Parigi. Far tacere le armi «prima che sia troppo tardi» Il presidente Impagliazzo: la nostra resistenza per protestare contro la violenza e l’odio. L’appello finale ai governi del mondo
Inviato a Parigi
Ha lo sguardo cristallino Gilberte Fournier. Cammina a fatica ma la voce è chiara. «Non si può dimenticare la guerra neppure a 93 anni». La sua età. Alle spalle ha il cantiere di Notre-Dame. Le gru e gli operai continuano a muoversi mentre lei parla dal palco sistemato di fronte alla facciata rinata. Il conto alla rovescia è già cominciato: l’8 dicembre la Cattedrale di Parigi verrà riaperta, a cinque anni dall’incendio che l’aveva ridotta in cenere. Un rogo che «ha fatto piangere milioni di persone ma che ha anche suscitato una preghiera immensa », spiega l’arcivescovo Laurent Ulrich. Un colpo al cuore anche per Gilberte che racconta le bombe, la distruzione, le paure della Seconda guerra mondiale. E accanto alla recinzione si rivolge ai giovani che riempiono il sagrato. «Sento persone che considerano la guerra come un gioco. Non si rendono conto. Sono qui per dirvi di non lasciarvi convincere che la guerra sia inevitabile».
Parla al popolo che per tre giorni a Parigi ha immaginato la pace “persa” con l’escalation militare degli ultimi anni. Quello radunato dalla Comunità di Sant’Egidio nella capitale francese per il 38° incontro internazionale nello spirito di Assisi. E, alla scuola di Giovanni Paolo II che nel 1986 aveva chiamato in Umbria i leader religiosi per invocare la pace, l’appuntamento parigino si conclude con un gesto analogo: l’abbraccio fra i rappresentanti delle fedi del mondo che accendono anche la lampada della fraternità, circondati da esponenti della politica e della cultura ma soprattutto dalla gente arrivata da decine di Paesi che sotto gli ombrelli e in mezzo alla pioggia partecipa all’evento finale. A precederlo la preghiera in vari angoli della città: quella dei cristiani, quella della comunità ebraica, quella dei musulmani, le mediazioni delle tradizioni spirituali dell’Asia. «Abbiamo bisogno di pregare per la pace – scrive papa Francesco nel messaggio letto dal nunzio apostolico Celestino Migliore –. Il rischio che i numerosi conflitti invece di cessare si allarghino pericolosamente è più che concreto. Faccio mio il vostro grido e quello dei tanti colpiti dalla guerra e lo rivolgo ai responsabili della politica: “Fermate la guerra!”. Stiamo già distruggendo il mondo. Fermiamoci finché siamo in tempo». Le parole del Pontefice risuonano lungo la Senna. «Troppe volte, in passato, le religioni sono state utilizzate per conflitti e guerre – ammonisce Francesco –. Dobbiamo allontanare dalle religioni la tentazione di diventare strumento per alimentare nazionalismi, etnicismi, populismi. Guai a chi cerca di trascinare Dio nel prendere parte alle guerre». Invece, loro «compito urgente è favorire visioni» di concordia in un frangente della storia che necessita di «artigiani» chiamati a «immaginare la pace», sottolinea il Papa citando il titolo dell’iniziativa. Ossia donne e uomini capaci di «incontrarsi» e «tessere legami fraterni». Come è accaduto da domenica a ieri nella capitale francese, ascoltando anche il dolore di chi vive i conflitti attuali: dalla Terra Santa all’Ucraina, passando per l’Africa. «C’è un’inquietudine di pace comune a tutti», afferma il presidente di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, dal palco dove la Chiesa italiana è rappresentata anche dal cardinale Gualtiero Bassetti. E da Parigi si alza «un grido di resistenza alla guerra», fa sapere Impagliazzo. Più volte ripete la parola «resistenza» che qui non rimanda ad armi da imbracciare. Anzi, l’opposto. «Vuol dire protestare contro la violenza e l’odio, estranei alla nostra volontà di vivere », aggiunge. Perché «la guerra non può essere il nostro destino» e «la pace è la nostra vittoria: non una vittoria contro gli altri ma con gli altri». «Più dialogo» è la sfida che l’incontro parigino consegna, sintetizza il presidente di Sant’Egidio. «Purtroppo c’è una diffusa rassegnazione. Rischiamo di trasmettere alle giovani generazioni un mondo bellicoso», è scritto nell’appello indirizzato «ai responsabili politici, ai signori della guerra, ai popoli tutti». Ma «la svolta è cercare quelle vie di pace che esistono anche se nascoste dal buio della guerra». E, mentre viene letto il testo, si torna alla “grande fabbrica” della Cattedrale parigina. «Di fronte alla basilica di Notre-Dame, colpita dal fuoco e ora ricostruita, diciamo con convinzione: noi possiamo liberare il mondo dal fuoco della guerra e ricostruirlo più pacifico e giusto». Prossima edizione a Roma nel 2025 durante il Giubileo.