PAOLO BARONI
A dicembre l’occupazione in Italia ha fatto segnare un nuovo record toccando quota 23,75 milioni di addetti, 456 mila unità del 2022. In parallelo la disoccupazione è scesa al 7,2%, il dato più basso degli ultimi 15 anni e anche la disoccupazione giovanile ha fatto segnare un calo di 0,4 punti al 20,1%, ai minimi dal luglio del 2007. «Dati positivi che insieme a quelli sulla crescita del Pil superiore alla media Ue, confermano che siamo sulla strada giusta. Anche per questo abbiamo realizzato una manovra che destina risorse a incentivare e premiare il lavoro, con il taglio del cuneo fiscale, e a supportare nuovi investimenti produttivi nei settori a più alto contenuto tecnologico» ha commentato il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. Secondo la ministra del Lavoro Marina Calderone «si sta consolidando un sentimento di fiducia prima di tutto da parte delle imprese, per quello che potrà essere il 2024 in termini di sviluppo del lavoro e del business».
Mentre il governo suona la grancassa, e Matteo Salvini ci mette del suo («Record di posti di lavoro creati in Italia. Avanti insieme, si cresce») ha twittato ieri) una lettura più attenta dei dati diffusi ieri dall’Istat disegna scenari meno ottimistici. Perché in realtà il mercato del lavoro, seguendo il rallentamento del Pil, a sua volta sta già frenando ed il potere d’acquisto dei salari (con più della metà dei contratti ancora da rinnovare) resta ben sotto l’inflazione con alcuni settori importanti fermi addirittura a quota zero.
Per Confcommercio la crescita del mercato del lavoro che si è registrata a dicembre «non è significativa. Data la sua esiguità, la variazione assoluta degli occupati potrebbe essere parzialmente attribuita alle procedure statistiche di destagionalizzazione dei dati». Ed in effetti a dicembre e 2023 i posti di lavoro sono cresciuti di appena 14 mila unità (+0,1%) tra gli uomini i dipendenti a termine e gli inattivi.
Come spiega il presidente della Fondazione Adapt Francesco Seghezzi «a dicembre sale unicamente l’occupazione maschile (+19 mila in un mese e +283 mila su base annua) raggiungendo un nuovo record, mentre diminuisce quella femminile (-5 mila in un mese e +178 mila nell’anno)». Oltre a questo calano di 50 mila unità i disoccupati, ma aumentano per il secondo mese consecutivo gli inattivi che non cercano più lavoro: 19 mila unità in più con l’indice che sale al 33,2%. Rispetto ai mesi passati diminuiscono gli occupati permanenti (-22 mila) e crescono per il secondo mese consecutivo quelli a termine (+21 mila) e, soprattutto, gli autonomi (+26 mila) per la gioa delle associazioni del commercio.
Ma come si spiega che il record annuale di occupati non abbia un riscontro altrettanto forte sul Pil che invece nel corso del 2023 è cresciuto di un misero +0,7%? Secondo Seghezzi una crescita occupazionale senza parallela crescita economica può nascondere problemi di produttività. «Le imprese – spiega – hanno comunque interesse, data la scarsità di lavoratori, ad assumere chi trovano in gamba, fenomeno che produce una polarizzazione del mercato del lavoro tra profili alti, professioni qualificate e tecniche, e profili bassi e personale scarsamente qualificato. Un dato – sottolinea l’esperto- che deve interrogarci, anche a fronte della situazione salariale nel Paese che non potrà che muoversi seguendo questa polarizzazione».
Già, i salari. I dati su contratti collettivi e retribuzioni diffusi riferiti al periodo ottobre-dicembre diffusi sempre ieri dall’Istat confermano che la forbice tra salari e inflazione resta ancora molto ampia continuando a rappresentare un freno notevole alla ripresa dei consumi e quindi alla crescita del Pil.
A dicembre 2023 erano infatti in vigore 44 contratti collettivi nazionali per un totale di 5,9 milioni di dipendenti; 29, invece, quelli in attesa di rinnovo per un totale di 6,5 milioni di dipendenti coi tempi medi per definire i nuovi accordi che dai 20,5 mesi del gennaio 2023 sono saliti di quasi un anno a dicembre toccando quota 32,2 mesi.
A dicembre l’indice mensile delle retribuzioni è salito del 5,1% contro una media dell’anno del 3,1. Ma si tratta di un dato falsato dall’erogazione degli anticipi fatti a fine anno a favore dei dipendenti delle amministrazioni statali che infatti spuntano un aumento tendenziale del 22,2% contro il 4,5% dell’industria ed il 2,4 dei servizi privati. Rispetto all’inflazione che si è registrata nel 2023 pari al 5,7% mancano insomma 2,6 punti, come segnalano anche Aduc e Unione consumatori. Ma mentre il comparto scuola spunta un incremento delle paghe su base annua del 6,7% ed i ministeri del 6,5% l’intero settore privato si ferma tre punti e mezzo sotto il costo della vita (al 2,4), con comparti come le farmacie private ed i pubblici esercizi (alberghi compresi) che registrano aumenti pari a zero, le telecomunicazioni che recuperano appena l’1,1%, il commercio (dove i contratti sono scaduti da 5 anni) l’1,4%, l’edilizia ed i settori acqua e smaltimento rifiuti l’1,7%.
In soldoni a dicembre i dipendenti dei conservatori in media si sono trovati 1.122 euro in più in busta paga rispetto a novembre, 1.046 i dirigenti dei Vigili del fuoco, 788 le forze di polizia, 815 i ministeriali, 279 euro i bancari. Per gli addetti dei servizi portuali, invece, appena 22 euro in più, 23 i dipendenti delle lavanderie industriali, 24 magazzinieri e addetti al trasporto delle merci, 28 gli addetti delle imprese di laterizi. In coda a tutti gli impiegati agricoli che prima a ottobre e poi a dicembre hanno ricevuto 3 euro in più rispetto ai mesi precedenti. Quando si dice lavoro povero, ecco di cosa si parla.