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11 Ottobre 2022Il libro: “Ribelliamoci alla gentrificazione toglie l’anima ai quartieri delle nostre città”
di Giulia Zonca
Esiste una parola che non richiama nessuna particolare immagine eppure dà forma alla vita quotidiana: gentrificazione. Suona come uno sputo e si è scoperto che non ha suscita reazioni tanto diverse: offesa, fastidio, sorpresa solo che per anni è sembrato un processo inevitabile. Quando i quartieri svoltano e trovano una qualche capacità attrattiva si svuotano di comunità e si riempiono di locali di design. I prezzi delle case schizzano, le persone si trasferiscono e strade perdono vita e accendono neon. Va avanti da un bel po’, con il passo dell’ineluttabilità che ora Leslie Kern, già autrice di La città femminista, contrasta nel saggio: La gentrificazione è inevitabile e altre bugie, appena uscito per Treccani.
Non si era detto che quando un luogo smuove interessi intralciarli significa bloccarne lo sviluppo?
«Si sono dette tante stupidaggini e siamo rimasti a guardare. Un po’ di responsabilità ce l’ha pure chi abita i luoghi in divenire. Ce l’abbiamo noi che pensiamo sempre a certe situazioni come imposte dai famosi poteri forti e finisce lì».
Scusi, banche che comprano palazzi, politiche che incentivano i traslochi. Non sono poteri forti?
«Non passano sopra le nostre teste. Organizzarsi in movimenti, difendere l’anima di un quartiere, mobilitarsi, protestare, occupare persino, pretendere dalle amministrazioni investimenti sul verde e spazi frequentabili, si può. In generale, ostacolare invece di assecondare scelte che costringono i residenti ad andarsene».
Incita alla rivoluzione?
«Sì. Oggi siamo più maturi, sappiamo che molti sponsor pronti a sostenere queste trasformazioni non vogliono affrontare boicottaggi e pessima pubblicità, che le banche mal sopportano di essere additate come cattive. Si tratta anche di non farci sedurre dall’idea iniziale che un generale aumento del valore giovi a tutti. Se non è naturale e graduale si traduce in costi insostenibili».
Ci siamo fatti fregare dai caffè alla moda e dalla pizzeria gourmet?
«Non sono contro i posti belli, però ci vuol poco a capire se un negozio, un bar o una palestra nascono legati alla comunità che abitano oppure contro».
Ha mai fatto considerazioni sulle città italiane?
«Dove c’è il turismo di massa le problematiche sono sempre le stesse. Barcellona come Venezia, ormai sono solo file di appartamenti in affitto».
La social economy alla Airbnb era un’illusione?
«Sono partiti dal couchsurfing elevato alla comodità e sono diventati pura speculazione. Prima c’erano i neo sposi che inserivano la rendita di una stanza rimessa a nuovo nel budget familiare, ora parliamo di palazzinari che comprano e restaurano grattacieli per consegnarli agli affitti brevi».
Lei scrive che questo processo non è solo classista, ma razzista e maschilista.
«Basta guardare come si compongono le zone ridefinite. Uomini d’affari, per lo più, quelli costretti a sloggiare sono i meno integrati o i meno considerati. La gentrificazione asseconda i peggiori istinti».
La città dinamica che ha fatto sognare dentro la cultura pop alla Sex and the City che fine ha fatto?
«Si è rivelata per quello che era in potenza già nella serie tv, il nostro peggiore incubo. Adatta solo a un’élite, per poche persone più che benestanti, per chi usa stanze come cabine armadio. Bisogna sempre stare attenti a ciò che si desidera».
Durante la pandemia in molti hanno espresso il desiderio di provincia o di campagna. Via dalla città?
«Sono già tornati. Alla fine vuoi avere l’asilo davanti al lavoro e vuoi goderti le offerte e i servizi di una città. Molte le abbiamo abbandonate a restyling che già ora si scrostano. Iniziamo a vedere i danni della gentrificazione che non genera affatto un profitto costante. Tanto varrebbe investire meglio, a lungo termine, in vivibilità».