LA STORIA
La festa che celebra la natività cristiana ha moltissime analogie con il rito pagano delle Sigillarie romane: cadevano nello stesso mese utilizzavano candele, statuette e doni, ponevano al centro i bambini
E questo chi è?» domandò Seneca vedendosi alla porta quello strano tipo. «Ma come, non mi riconosci? » rispose l’altro «sono Felicione, il figlio del fattore Filosito, ero il tuo cocco. Mi regalavi sempre i sigilla quando ero un bambinello». Che cosa sono i sigilla che il filosofo regalava a Felicione quando era il suo “cocco”? Si trattava di statuine che venivano donate ai bambini durante i Sigillaria, cioè la festa dei sigilla, come i Romani chiamavano queste figurine di gesso o terracotta. La cosa interessante però è che questa festa si celebrava ogni anno proprio alla fine di dicembre: ossia nel periodo che corrisponde al nostro Natale.
Il fatto è che sul finire dell’anno ha luogo un fenomeno che riguarda una delle componenti fondamentali dell’esistenza e della esperienza umana: il tempo. Infatti, mentre il tempo fisico continua a scorrere imperturbato, nel suo movimento lineare e irreversibile, il tempo cronico, quello dei calendari, in questo periodo si interrompe: per poi subito ricominciare da capo con l’inizio del nuovo anno. L’invenzione del calendario, ossia la griglia di mesi e giorni che si ripetono ogni anno con la stessa cadenza, costituisce una finzione culturale meravigliosa, perché non solo permette di dare un’organizzazione condivisa alla nostra vita collettiva; ma suggerisce l’illusione che il tempo non sia in perenne fuga, come invece purtroppo è, ma che ogni volta possa ricominciare da capo, identico, allo scadere di una data fissa. È inevitabile, però, che il periodo in cui il tempo “di prima” si interrompe per lasciare il passo al tempo “di dopo”, sia percepito come un momento di passaggio, dal carattere eccezionale, che chiede di essere celebrato. Ed è appunto qui, all’interno di questa frattura fra calendari, che si collocano le nostre feste di Natale e fine d’anno; così come nello stesso periodo si festeggiavano a Roma i Sigillaria in concomitanza con un’altra importantissima celebrazione romana: i Saturnalia.
Questa festa si teneva in onore del dio Saturno e coinvolgeva tutti gli abitanti della Città. Sotto il segno del vecchio dio tornava a rivivere un mito, quello dell’età dell’oro, di cui Saturno era stato appunto il signore. Si era trattato di un periodo felice per l’umanità, quando non c’era bisogno di lavorare la terra per goderne i frutti e tutti vivevano in un regime di pace e giustizia. Sul modello di questa età felice, i Saturnalia erano caratterizzati dalla cancellazione rituale dello scarto che sussisteva fra liberi e schiavi. In quei giorni, infatti, i liberi abbandonavano la toga, ossia l’abito che distingueva il cittadino romano dai non cittadini, per indossare altre vesti; e mettevano sulla testa il copricapo tipico dei liberti, ossia gli schiavi liberati. Si chiamava pilleus ,ed era considerato il “berretto della libertà”. La festa poteva addirittura prevedere un rovesciamento dei ruoli fra liberi e schiavi. I padroni servivano cibo ai propri schiavi e si permetteva addirittura che i servi facessero il verso ai patrizi, prendendoli in giro. Era la “libertà di dicembre” come veniva chiamata, e anzi Orazio, in una delle sue Satire , raccontò della volta in cui il proprio schiavo, Davo, gli aveva fatto una lunga predica sui suoi vizi, approfittando appunto di questa libertà. Questa situazione non ricorda un po’ il comportamento di Ebenezer Scrooge, nelCanto di Natale di Charles Dickens? Il vecchio avaro che proprio a fine dicembre si scopre più generoso nei confronti dei poveri di Londra. Del resto, la nostra tradizione vorrebbe che a Natale tutti si sentissero “più buoni” — che poi questo accada davvero, naturalmente, è un altro discorso. Dunque, anche a Roma alla fine dell’anno i ricchi e i privilegiati erano animati da una miglior disposizione d’animo verso i più sfortunati, come il vecchio e terribile Scrooge. Ed eccoci tornati ai Sigillaria, la festa delle statuine.
Queste “piccole immagini”, i sigilla da cui abbiamo preso spunto, erano dedicate al dio Saturno ed erano poste in vendita nel mercato annuale che si teneva per la circostanza. Un antico grammatico ce lo descrive, sia pure in maniera disgraziatamente un po’ troppo succinta. Al momento dei Sigillaria, ci spiega, i mercanti aprivano delle tende di lino nei porticati, un tempo in quello di Agrippa, in seguito in quello delle Terme di Traiano. Non c’è che dire, questi mercatini dei Sigillaria, con i loro teloni messi su alla fine di dicembre e in cui si vendevano statuine di terracotta, come quella che Seneca regalava al piccolo Felicione, somigliano molto ai nostri mercatini di Natale. Nei quali, almeno in certe regioni d’Italia, dove ancora si pratica la tradizione del presepio, si vendono proprio statuine da collocare intorno alla grotta o nella capannuccia. Le botteghe di San Gregorio Armeno, a Napoli, con la loro meravigliosa offerta di sacre famiglie, pastori o personaggi bizzarri, sembrano dunque trovare in Roma antica un precedente abbastanza inatteso. Presso questi tendoni, aperti dai mercanti nei porticati, si potevano poi acquistare anche altri oggetti. Sappiamo ad esempio di libri o vassoi, destinati a essere donati a persone amiche alla stessa stregua dei sigilla. Anche nella Roma antica, infatti, il periodo di fine dicembre era caratterizzato dallo scambio dei doni, proprio come avviene in occasione del nostro Natale. Naturalmente in queste occasioni non si trattava semplicemente di esternare generosità o bontà. In qualsiasi società, infatti, la pratica del dono è inserita in realtà in un complesso sistema di relazioni sociali, che possono talora dar vita a vere e proprie forme di obbligazione. Obbligo di donare, obbligo non solo di ricevere, ma soprattutto di ricambiare. Come peraltro avviene in occasione del nostro Natale, quando ci tormentiamo al pensiero che il dono verso una persona non costituisca un contraccambio adeguato a quello da noi ricevuto. A proposito di doni obbligati, ci viene anzi detto che, in occasione dei Sigillaria, i ricchi romani avevano preso l’abitudine di esigere dai loro clienti doni così costosi che un tribuno, Publicio, intervenne direttamente con un provvedimento che limitava questa pratica ai soli cerei, le candele tipiche della festa. Che anche il potere legislativo si fosse interessato ai Sigillaria mette ulteriormente in evidenza l’importanza di cui a Roma godeva questa festa. Inutile dire però che si resta colpiti anche dal ruolo centrale occupato in essa dai cerei, le candele, ritenute essenziali per la celebrazione dei Sigillaria, e che dobbiamo immaginare destinate a illuminare le vie e le case della città: luci di fine dicembre che tanto ricordano i costumi caratteristici del nostro Natale, con i suoi festoni di lampadine. La cosa forse più interessante, però, è che le “statuine” dei Sigillaria venivano donate in particolare ai bambini, come Seneca usava fare con il piccolo Felicione. Le si donava addirittura ai più piccoli, “quelli che non camminano ancora”, come giocattoli. Ora, se c’è una cosa che caratterizza il nostro Natale, è proprio l’attenzione dedicata i bambini. È a loro che sono destinati i regali che si fanno in famiglia, sono loro i piccoli eroi delle feste natalizie. Lo si vede perfino dalle pubblicità che passano in televisione. Del resto, nel Natale cristiano il personaggio principale non è forse un bimbo adagiato in una mangiatoia? Un bambino divino, la cui nascita è salutata da un coro di angeli e che, per coloro che credono, è addirittura destinato a salvare il mondo.
Si poteva addirittura prevedere un rovesciamento dei ruoli fra liberi e schiavi. Era la libertà di dicembre