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Il nuovo volume di Nicolas Sarkozy, presentato come il diario dei suoi ventuno giorni di detenzione, è costruito come un manifesto di autodifesa. L’ex presidente insiste con forza sull’idea di essere vittima di un accanimento politico e giudiziario, ricorrendo a paragoni estremi: dal capitano Dreyfus fino a richiami evangelici sulla persecuzione e la giustizia. Il racconto della vita in carcere, pur ricco di dettagli sul disagio quotidiano, fa emergere soprattutto i numerosi privilegi di cui ha goduto: preparazione anticipata all’ingresso, colloqui frequenti con avvocati e familiari, visite di ministri, alloggio individuale in un istituto sovraffollato e presenza costante della direzione penitenziaria.
Il libro ribadisce la sua innocenza nel presunto finanziamento libico della campagna del 2007, per cui è stato condannato in primo grado a cinque anni, contestando il fondamento stesso del processo e accusando i magistrati di parzialità. Non vi è traccia di autocritica, né attenzione alle vittime indirette dei contesti in cui le accuse sono nate.
Sarkozy attacca apertamente magistrati, media e vecchi avversari politici, mentre valorizza i sostegni ricevuti, compresi quelli provenienti dall’estrema destra. Nel farlo, mette implicitamente in discussione il tradizionale fronte repubblicano, contribuendo a ridefinire gli equilibri della destra francese. Il libro appare così meno come un resoconto personale e più come uno strumento di battaglia: giudiziaria, politica e narrativa.





