Rischio di povertà ed esclusione sociale stabile nonostante la ripartenza
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14 Ottobre 2022
di Francesco Verderami
ROMA Attestato dietro la linea Maginot dei tre ministeri chiave per Forza Italia, Berlusconi capitola a Palazzo Madama. Viene sorpreso da una manovra ai fianchi condotta da 17 senatori dell’opposizione, che consentono l’elezione di La Russa a seconda carica dello Stato. Il blitz non ha nulla di casuale e Meloni non poteva non sapere, se è vero che nei giorni scorsi il candidato alla presidenza del Senato aveva incontrato Renzi e autorevoli esponenti del Pd in vista delle votazioni.
E tutti ieri hanno messo il pugnale nell’urna contro il Cavaliere. Politicamente c’è la prova. Da solo Renzi non poteva dare garanzie numeriche, perché il suo gruppo è piccolo e in più c’era la contrarietà di Calenda. Il Pd, che oggi alla Camera medita di votare un candidato di bandiera, stranamente non l’ha fatto al Senato dove i margini per il centrodestra erano più risicati. Quanto a Conte, ha copiato una vecchia mossa di Bossi, che nel 1993 «salvò» a scrutinio segreto Craxi dalla prima richiesta di autorizzazione a procedere, per sfruttare il risultato nella campagna contro «Roma ladrona».
Insomma, a Palazzo Madama c’è stata una convergenza di interessi. La mossa dell’opposizione ieri non era un modo per aiutare Meloni, ma per iniziare a spartirsi ciò che resta dell’impero berlusconiano, manco fosse la Polonia del 1939. Invano Gianni Letta l’altra sera aveva messo il Cavaliere sull’avviso. «Ricevo risposte offensive qualsiasi cosa chieda», era sbottato Berlusconi parlando della premier in pectore: «Non me lo merito». Può darsi avesse intuito l’accerchiamento, ma la prova di resistenza al Senato si è tramutata in una disfatta e ha avuto come effetto l’implosione di Forza Italia.
Così il ritorno in Parlamento è stato amaro. Raccontano che la figlia Marina sia contrariata per quanto è successo al genitore, e anche Fascina si sarebbe resa conto del danno subito dal suo compagno. La causa, secondo Tajani, è «la linea demenziale» che è stata suggerita al Cavaliere. L’indice è puntato verso Ronzulli, additata dagli avversari interni come la regista dell’asse con Salvini, che poi però ha votato per La Russa. Si vedrà se il capo della Lega ha solo accettato la logica dei rapporti di forza nell’alleanza o medita anche lui di partecipare alla spartizione di Forza Italia.
Il dato inequivocabile è che nei gruppi berlusconiani ormai si parlano lingue diverse. Da un lato Ronzulli è sospettata di voler prendere il posto di Tajani nel partito. Dall’altra si parla di Tajani addirittura come di un traditore: «Meloni lo conteggia nel governo come ministro di Forza Italia e non come ministro del Nuovissimo centrodestra», ironizza un dirigente azzurro. Che è sprezzante anche verso l’alleata, come «con sprezzo lei ha trattato noi. Teorizzava la sua purezza e ha fatto eleggere La Russa da 17 “responsabili”. Quasi il dieci percento dell’Assemblea. Si capisce che era tutto organizzato».
Se così stanno le cose, la personalizzazione dello scontro in Forza Italia è solo un aspetto della vicenda, fa comprendere la balcanizzazione di quello che è stato il partito fondatore della coalizione. Ma il nodo è politico, sta nelle parole di chi teme che, «dopo l’errore commesso al Senato, Meloni ci porti via mezzo gruppo». In realtà l’operazione della leader di FdI è iniziata prima delle elezioni, quando ha stretto un patto di ferro coi centristi: primo passo verso il tentativo di conquistare anche quell’area. Dove entrerà in competizione con Renzi.
Ed è chiaro il motivo per cui nel pomeriggio Mulè parlava di «forte disagio» verso Meloni, evocando di fatto la possibilità che il Cavaliere salga da solo al Colle per le consultazioni. Che in serata sia stata la Lega a smentire l’ipotesi, rende l’idea di come divergano le posizioni con Berlusconi. La manovra a tenaglia sugli azzurri non mette a repentaglio la nascita del governo: Meloni, dovendo affrontare il nodo del rapporto con il Cavaliere, ha deciso di tagliarlo e non di scioglierlo. Ma la mossa del Senato non è a costo zero: se l’obiettivo iniziale delle opposizioni è colpire Forza Italia, l’intento finale è contribuire al logoramento dei rapporti nel centrodestra. Cosa che potrebbe minacciare alla lunga la stabilità dell’esecutivo. Il gioco si fa subito duro.