Al parlamento europeo Elly Schlein non ha convinto tutti della sua linea. La levata di scudi contro la segretaria parte da una questione molto seria, su cui, in linea di principio non dovrebbero esserci divisioni: il modello di Europa da difendere. Tutti, tra i democratici, si richiamano ai padri fondatori dell’Unione, Eugenio Colorni, Ernesto Rossi e Altiero Spinelli.
Sulla loro scia la segretaria del Pd ha espresso in questi giorni una posizione cristallina di adesione ai principi dell’europeismo e del federalismo. I tempi bui non dovrebbero far deflettere da queste linee guida né dovrebbero appoggiare il primo, improvvisato, provvedimento tampone. Ricordiamo che il Manifesto di Ventotene venne scritto nel 1941 (al confino) quando la Germania nazista e il suo alleato fascista dominavano l’Europa, quando tutto sembrava perduto. E soprattutto era scritto a chiare lettere che la guerra discendeva dalla naturale pulsione a sopraffare insita nel nazionalismo. L’idea di potenza e il desiderio di dominio avevano prodotto guerre devastanti.
Dopo il crollo del Muro di Berlino pensavamo di essere entranti in mondo di pace. Così non è stato. La guerra è tornata, anche in Europa. E da subito, perché le guerre jugoslave iniziano nel 1991 e proseguono per tutto il decennio, con una ferocia inimmaginabile. L’aggressione all’Ucraina non rappresenta un inedito. I confini in Europa sono già stati cambiati nei Balcani, come frutto della violenza.
La memoria è corta, come la vista. Al punto che oggi si discute di quanto doveva essere fatto da molti decenni, sulla base della necessità storica e dei desideri dell’opinione pubblica che da tempo chiedeva una difesa e un esercito comune. La sordità e la pigrizia delle élite europee obbliga a un improvviso risveglio. Come sempre, affrettato e controproducente.
Quanto proposto dalla presidente della Commissione Ursula von del Leyen, manifestamente inadeguata al ruolo in una circostanza così eccezionale, riflette una impressionante pochezza intellettuale e politica. Quanto è stato approvato su sua proposta consiste in un via libera agli acquisti nei supermercati delle armi. Ognuno si armi fino ai denti, poi vedremo cosa fare.
Sono stati ignorati centinaia di studi sul problema dell’esercito europeo, il più attento dei quali redatto dal prestigioso Bruegel Think Tank pochi mesi fa. Il punto dirimente sulla questione è chiaro, al di là della retorica: vogliamo costruire un sistema di difesa europeo affidato ad una autorità sovranazionale, indipendente sul modello della Bce, oppure vogliamo rafforzare le dotazioni delle forze armate dei singoli paesi? Questo è il nodo della discussione.
La confusione che è stata montata dai media italiani, non certo da quelli europei, serve solo a demonizzare la posizione della sinistra, e della segretaria del Pd in particolare, che si è mossa nel solco dei federalisti: di coloro che promossero la Comunità europea di difesa già nel 1954 per vedersela affossare dai rigurgiti nazionalisti francesi.
La distribuzione a pioggia di soldi, finalmente trovati senza troppi patemi, per armarsi purchessia, da un lato, favorisce interessi nazionali che finiranno per scontrarsi con il supposto obiettivo di una difesa comune: l’esercito che ho creato con tanto impegno lo gestisco io, e non cedo il comando ad altri…; dall’altro, finanzia munificamente gli Usa dai quali non solo compreremo quasi tutti i sistemi d’arma ma dai quali rimarremo sempre dipendenti per addestramento, manutenzione e ammodernamento.
L’idea dell’autonomia strategico-militare dell’Ue, avanzata anni fa da Prodi all’epoca della sua Commissione, venne respinta duramente dagli atlantisti di casa nostra. Non si poteva prefigurare una Europa altro che connessa – e dipendente – dal grande fratello americano. Ora, finalmente, ci si è accorti che quello era un abbraccio soffocante, impediva di crescere. Il risveglio è benvenuto ma non è completo. Invece di imboccare la strada dell’autonomia e della sovranazionalità la Commissione favorisce interessi e, inevitabilmente, egoismi nazionali, senza indicare alcuna strada federale, nemmeno in prospettiva.
Così si rischia di non fare passi avanti per la sicurezza collettiva, ma di andare in ordine sparso e rimanere agganciati all’America perinde ac cadaver. Tanti piccoli eserciti che vanno per conto proprio non servono nulla, non fanno massa critica. Eppure questa è la linea che prevale: nazional-nazionalista e dispersiva. Senza pensare a cosa succederebbe qualora un grande paese finisse in mano a forze sovraniste e nazionaliste.
Come è possibile che il partito italiano più europeista si sia diviso sulla decisione tra una difesa comune e una corsa individuale, di ciascun stato, ai propri armamenti?