Gli Eremiti di Sant’Agostino, un ordine mendicante riunito sotto la regola agostiniana da papa Alessandro IV, giunsero a Borgo San Sepolcro verso la metà del XIV secolo. Vestivano un saio nero, stretto in vita da una cintura di cuoio. Cento anni dopo erano diventati una comunità fiorente di frati, laici e consacrati, votati al ritiro dalla vita mondana e allo studio (teologia, liturgia, musica, diritto); ricercavano la verità in una dimensione contemplativa ed esercitavano la carità come impegno evangelico nell’educare ed erudire. Il 4 ottobre 1454 il priore del convento convocò in sagrestia gli altri confratelli, due operai, il benefattore Angelo di Giovanni di Simone – di professione mercante e “asinaro” (cioè mulattiere) – e il pittore Piero della Francesca, gloria più che locale, al quale venne chiesto di dipingere, ornare e dorare un polittico (già esistente nella struttura lignea) per l’altare maggiore della chiesa degli agostiniani.
A quel tempo l’artista, all’incirca quarantenne, stava affrescando il ciclo con la Leggenda della Vera Croce per la chiesa di San Francesco di Arezzo (1452-1457), aveva già lavorato per l’Ordine nella chiesa di Sant’Agostino di Ferrara e vantava un cugino agostiniano, frate Angelo di Niccolò, che era stato priore del convento di Borgo. Piero godeva, dunque, di altissima stima e non solo nella sua città natale; pur avendo committenze di prim’ordine presso le principali corti della penisola (Ferrara, Urbino, Rimini) e altre lo attendevano ad Ancona, Pesaro e Bologna, accettò l’incarico.
Gli ci vollero quindici anni per portare a termine il polittico di Sant’Agostino, nel corso dei quali si trasferì a Roma, chiamato da papa Pio II per affrescare il Palazzo Apostolico, realizzò celebri capolavori e scampò alla peste del 1468 rifugiandosi a Bastia Umbra.
Mentre lavorava al polittico della Misericordia (1444-1464 circa) oggi al Museo civico di Sansepolcro e a quello di Sant’Antonio (1460-1470 circa) oggi a Perugia, alla Galleria Nazionale dell’Umbria, portò a termine anche il polittico di Sant’Agostino, che resta il più innovativa nella concezione rinascimentale dello spazio, privo di fondo oro, sostituito da un cielo aperto tra balaustre classicheggianti e con le figure dei santi dalla monumentalità accentuata. Purtroppo è anche l’unico a essere stato smembrato qualche decennio dopo la sua magistrale esecuzione e poi disperso sul mercato antiquariale. Poterlo ammirare riunito – seppure parzialmente perché delle ipotetiche 31 tavole che ne avrebbero costituito la complessa struttura soltanto otto sono state finora individuate – è merito della storia dell’arte, delle più avanzate indagini diagnostiche messe in campo soprattutto dal Gruppo Bracco e del neo direttore del Museo Poldi Pezzoli di Milano, l’architetto Alessandra Quarto, che nell’articolo in pagina ripercorre le tappe del ricongiungimento degli scomparti superstiti.
Quello raffigurante il frate agostiniano San Nicola da Tolentino si trovava già a Milano dalla metà dell’Ottocento, nella casa-museo del conte Gian Giacomo Poldi Pezzoli, mentre San Michele Arcangelo lo ha raggiunto da Londra, Sant’Agostino vescovo di Ippona da Lisbona, San Giovanni evangelista da New York (con Santa Monica, San Leonardo e la piccola Crocefissione della predella), Sant’Apollonia da Washington: non si erano più rivisti tutti insieme da mezzo millennio!
Sottoposte ai raggi X, ultravioletti, vicino infrarosso, alle analisi di microscopia e di spettroscopia, le opere hanno rivelato più di un segreto, primo fra tutti che lo scomparto centrale, andato perduto, raffigurava due figure angeliche, dalle ali rosa e blu, scortare la Madonna che si inginocchia ai piedi del Figlio Gesù, per essere da lui incornata regina del paradiso. Piero dipinse alla fiamminga, cioè a olio, su una carpenteria trecentesca di pioppo, ricavandone un capolavoro. Con velature applicate in modo sottile e ricercato, l’artista creò la prospettiva atmosferica del cielo, gli effetti trasparenti e tridimensionali del cristallo di rocca del pastorale di Sant’Agostino, i bagliori delle pietre preziose luccicanti sulla corazza muscolata di San Michele.
Il racconto di Piero, sospeso tra arte pittorica e scienze matematiche, tra teologia e filosofia, illustra uomini e donne elevati a modello di santità non per la loro esistenza perfetta, ma per la loro grande fede in Cristo morto e risorto. È infatti il Redentore che si alza dal santo sepolcro – dipinto in miniatura sia nella mitra del vescovo Agostino che nella borchia del suo stolone – la ragione d’essere del polittico agostiniano di Borgo San Sepolcro. Davanti a queste immagini gli Eremiti agostiniani pregavano e si inginocchiavano, anche il popolo partecipava alla sacra liturgia, perché in quel momento il cielo scendeva sulla terra e la Pasqua del Signore dava senso e speranza alla loro vita.