di Ugo Magri
Può essere una semplice coincidenza oppure il segnale di grandi tempeste in arrivo. Sta di fatto che ieri, nell’arco della stessa giornata, Sergio Mattarella ha dovuto sventolare non una ma due volte il cartellino giallo per mettere un freno ai vincitori delle elezioni e per arginare il loro senso di onnipotenza come se fossero (ma non sono) i padroni d’Italia. La prima volta ieri mattina, quando il presidente ha rammentato che delle violenze davanti alle scuole dovrebbero allarmarsi tutti, compreso il ministro dell’Istruzione e del Merito: altro che prendersela con la preside antifascista minacciandola di misure disciplinari, salvo ritirare la mano dopo averla lapidata. Poi di nuovo il capo dello Stato ha alzato la voce nel pomeriggio, denunciando il mostro giuridico creato da questa maggioranza di governo per correre dietro ai balneari e, in generale, gli eccessi della decretazione d’urgenza cui nemmeno Giorgia Meloni sa fare a meno. Filo rosso di entrambi i richiami presidenziali: in Italia esiste ancora una Costituzione; e sul Colle c’è chi, piaccia o meno ai signori della politica, ha il preciso compito di farla rispettare.
Mattarella, sia chiaro, non dichiara guerra al governo, né si è trasformato nel capo dell’opposizione in attesa che il Pd, celebrate le primarie, ritrovi l’anima. Se l’obiettivo fosse stato quello di mettere i bastoni tra le ruote, come sospetta la pubblicistica di destra, il capo dello Stato avrebbe avuto eccellenti giustificazioni per bocciare il Milleproroghe. La nota diffusa ieri dal Quirinale ne elenca una quantità spaventosa, tanto che nel leggerla ci si domanda come sia stato possibile un tale scempio legislativo e in che mani siamo. Il rinvio di un anno delle gare per le spiagge calpesta le direttive europee da cui dipendono i miliardi del Pnrr; travolge le pronunce del Consiglio di Stato (sebbene a presiederlo ci fosse il compianto Franco Frattini, non certo un pericoloso bolscevico); crea le premesse di ricorsi e controricorsi seminando caos. E fosse solo il cedimento alle pressioni dei balneari. Nel Milleproroghe si trova di tutto, compreso quello che non dovrebbe esserci: dalle normative sui dipendenti pubblici alle misure organizzative della Pubblica amministrazione con oneri allegramente posti a carico dello Stato, con rifinanziamenti di leggi scadute e, al posto di legittimi rinvii, discipline introdotte di sana pianta, «ex novo», con lo strumento sbagliato.
Il decreto sottoposto al suo esame, denuncia con toni severi Mattarella, finge di ignorare le sentenze della Consulta che più volte hanno vietato di infilare misure eterogenee nello stesso decreto come se fossero allo stesso modo indifferibili e urgenti. Incombono seri rischi di incostituzionalità.
Eppure, nonostante il decreto gridi vendetta, Mattarella ci ha messo sotto la firma. L’ha fatto per carità di patria, al fine di scongiurare guai ulteriori, per evitare che alcune vere urgenze restassero insoddisfatte: cosa che sarebbe accaduta qualora avesse rimandato il testo alle Camere. Per senso di responsabilità nazionale il presidente ha dovuto subire, al pari di tutti i suoi precedessori, il ricatto sottinteso ai provvedimenti «omnibus», quelli dove c’è dentro la qualunque e per cambiare una virgola il presidente dovrebbe bocciare l’intero decreto, buttando via l’acqua sporca e pure il bambino. La premier, che è più svelta di certi suoi seguaci, ha promesso che in futuro non accadrà mai più; Mattarella le da dato volentieri atto dell’impegno, pur senza farsi troppe illusioni; ma la tirata d’orecchi a una maggioranza che calpesta le regole, o le riscrive a proprio piacimento, quella proprio non si poteva evitare. Per quanto dolorosa, è ben meritata.
Idem sulle squadracce che picchiano gli studenti, come è successo il 18 febbraio scorso a Firenze. In giro c’è troppa aggressività: nelle famiglie, contro le donne, per strada, nelle stazioni. A tutte queste violenze, che rendono l’Italia un luogo poco sicuro, certamente meno di quanto si attenderebbe da una destra securitaria al potere, si aggiungono adesso gli assalti «addirittura davanti alle scuole», non trattiene lo stupore Mattarella, dove si va per studiare e non certo per essere bastonati. È un fenomeno serio, allarmante, su cui il capo dello Stato esorta tutti a riflettere, incominciando dal ministro dell’Istruzione che non sembra preoccuparsi troppo di quanto accade.
Ieri mattina, col solito garbo ma in modo inequivocabile, Mattarella ha rimproverato a Giuseppe Valditara l’incredibile scambio di ruoli per cui chi picchia si trasforma in vittima; e chi denuncia la matrice degli aggressori finisce sul banco degli imputati. C’è un limite a tutto, e quel limite è stato abbondantemente superato. Il bello è che il ministro, seduto in prima fila e tutto sorridente, alla fine ha perfino applaudito il discorso di Mattarella che, usando parole diverse e meglio consone al proprio stile, ha espresso in fondo gli stessi concetti censurati alla preside fiorentina. Forse perché Valditara, stavolta, aveva davanti il preside d’Italia.