La testimonianza
RAFAH — Oggi è venerdì, giorno di festa e di paura. Un sacco di persone si stanno allontanando da Rafah, o almeno ci provano. Sono tutti terrorizzati, temono che Israele attaccherà subito dopo la fine del Ramadan che è tra lunedì e martedì con la festa di Eid al Fitr. Forse non aspetterà nemmeno che si celebri l’Eid. Già sentiamo i bombardamenti che si intensificano intorno alla città. Sappiamo che gli israeliani sono pronti, ed è una prospettiva molto preoccupante perché forse il mondo fuori ormai non ci pensa più, ma a Rafah vivono ancora un milione e mezzo di persone, una città che prima ne ospitava 250mila. Moltedi loro hanno attacchi di panico in questa attesa logorante. Chi ha una casa non la lascerà perché sa che rischia ugualmente di morire ammazzato. Per tutti gli altri non ci sono vie di fuga. Ne parliamo di continuo, ma non c’è soluzione: non abbiamo un posto in cui scappare. Nemmeno Israele ha indicato una “safe area” perché non ci sono zone sicure, lo sanno anche loro. E noi aspettiamo di sapere quando si scatenerà l’inferno come a Khan Yunis. L’incertezza ci consuma.
L’unico modo per gestire l’ansia è parlare tra di noi, seguire le notizie in cerca di una speranza. Ma non ne vediamo. Le superpotenze sono impassibili, i negoziati sono in stallo. L’attacco a World Central Kitchen (Wck) ha peggiorato ulteriormente la vita quotidiana di tante persone a cui l’organizzazione forniva almeno un pasto caldo. La Ong ha sospeso tutte le attività e i suoi operatori si sono chiusi nel silenzio. Ho contattato il direttore di Wck qui, un palestinese: è molto arrabbiato e non vuole parlarne. Dicendo che si è trattato di un incidente, di un errore, Israele li ha fatti infuriare ancora di più. Qui tutti pensano che siano stati presi di mira intenzionalmente, perché la loro auto era molto ben segnalata. Nessuno si fida più: non ci sono rassicurazioni sul fatto che attacchi così contro volontari e Ong non si ripeteranno, né che ci sarà una inchiesta davvero credibile e indipendente.
Ci sono altre organizzazioni del settore privato che cucinano per gli altri, sono gruppi locali, ma sono piccoli e si appoggiavano a Wck e ad altre Ong internazionali per avere cibo e materiali. Da soli non hanno la capacità di assistere migliaia di persone come faceva Wck, che riusciva anche a far entrare i rifornimenti nella Striscia. Al mercato si trovano pochissime cose e molto costose. Israele ha annunciato di aver riaperto il valico di Erez: lo sentiamo dire da un mese. La gente qui ha smesso di credere a quello che dice Israele. Non abbiamo visto nessun cambiamento, a quanto ne so il valico resta chiuso. Ieri un solo camion di verdure è entrato a Gaza City, arrivando dal Sud. Israele sta perseguendo una politica della fame che mira a lasciare la Striscia senza mezzi di sostentamento. Finora non ha raggiunto l’obiettivo di distruggere Hamas né di liberare gli ostaggi.
Di Hamas non sappiamo nulla, se sono a Rafah o a Khan Yunis, se sono sopravvissuti o morti. La verità è che gli israeliani vogliono rendere Gaza un luogo inabitabile per spingere i palestinesi ad andarsene. Lo vediamo tutti i giorni: gli attacchi israeliani sono mirati a distruggere le infrastrutture, a colpire le case indiscriminatamente, i lavoratori delle Ong e i volontari. Questo non è il modo di dare la caccia a Hamas, ovunque sia, ma di svuotare la Striscia dopo la guerra.