di CONCITA DE GREGORIO
Il Papa è tornato, che vi importi o meno vi riguarda. Che siate fra quelli che hanno pianto e pregato, che hanno sperato (che guarisse, che non), che hanno tramato intanto, che hanno solo assistito all’apprensione altrui. Tra quelli che hanno detto che era morto da due mesi, che hanno analizzato le foto spiegando come fossero frutto di intelligenza artificiale e di complotti: i complottisti, loro, quelli di cui non parleremo, fanno già troppo dannoso rumore da soli. Che siate credenti o non lo siate la giornata di ieri interessa anche voi perché il Papa, questo Papa, fa la differenza. La sua morte e l’imprevedibile successione avrebbero potuto cambiare il corso della Storia in un momento in cui, nel mondo, anche lo spostamento di un semplice tassello può far crollare un equilibrio già davvero fragile. Il suo ritorno a Santa Marta, al contrario, garantisce per un po’, ancora per un po’, la stabilità. Relativa, certo. Ma almeno.
Il Papa, questo Papa, Francesco, piace immensamente ad alcuni e pochissimo ad altri. Per esempio. Ha telefonato quasi ogni giorno, dall’ospedale, al parroco di Gaza. Ha preteso che a dispetto di ogni prudenza e protocollo il suo bollettino medico fosse diffuso con trasparenza e nel dettaglio: abbiamo saputo di crisi di vomito, di mucose, di crisi respiratorie che almeno due volte avrebbero potuto essergli fatali. Come un paziente qualsiasi, perché la malattia e la morte fanno parte della vita, anche di quella del Papa che è una persona. Sembra poco ma è molto, invece. I giornalisti stranieri (a settecento, è arrivato in queste settimane il numero degli accreditati in Vaticano: il doppio del solito) sono rimasti a volte interdetti. Il linguaggio tecnico della medicina, la sua crudezza, confliggono con il lessico felpato delle diplomazie religiose. Ma il Papa, questo, si rivolge al mondo con la postura di chi dice: sono uno di voi. Basterebbero i fotogrammi della giornata di ieri a certificarlo, il pollice alzato il saluto alla signora dei fiori gialli, la Cinquecento, il passaggio a sorpresa in Santa Maria Maggiore, la basilica dove vuol essere sepolto. Ci torniamo, sulla prossemica sul linguaggio del corpo e sul significato dei gesti, sui simboli. Ma prima: che sia chiaro che non c’è niente di ingenuo in tutto questo.È un gesuita. È un soldato e insieme un intellettuale della Chiesa. E sì, certamente: è anche un uomo con un passato remoto negli anni della dittatura argentina, anni di luci di ombre e di penombre, è un sovrano, è una persona che a mensa a Santa Marta racconta barzellette qualcuno dice sconvenienti, che ride, che sconcerta, che si annoia, che prende parte alle cose del mondo, che fa politica e spiazza le gerarchie. Ma è prima di tutto un gesuita, ripetiamolo. È un architetto di pensiero e di azione, nulla è per caso. Poi, quel che più conta: ha il mondo intero come platea. Parla a miliardi di persone, influenza moltitudini in ogni angolo del globo. Potete credere o meno che sia l’incarnazione della divinità in terra, ma non potete evitare di constatare che, nel tempo in cui regna no gliinfluencer , sia il più potente e fragoroso di tutti senza paragoni col secondo. Dunque cosa cambia, e perché cambia la sorte collettiva che domattina al risveglio non ci sia un Conclave da organizzare ma che ci sia, invece, Papa Francesco che è tornato a casa.
Vediamolo dai gesti di ieri. Annuncia che saluterà da un balcone del Policlinico Gemelli, l’ospedale dove è stato 38 giorni ricoverato, e saluta. Si presenta circondato da chi lo ha assistito: il medico a capo dello staff, il suo medico personale, il suo infermiere (si chiama Massimiliano Strappetti, ha lavorato a lungo in terapia intensiva, è l’uomo che sul balcone regge il microfono). “Sono ancora vivo”, aveva detto poco prima. Una battuta e un proclama: non pensiate di esservi liberati di me. Ogni giorno, mentre ha potuto, ha nominato, ha detto edisdetto, ha — da quella stanza di ricovero — edificato postazioni e avamposti della sua Chiesa. Sono ancora vivo, sono ancora qui: nessuno pensi di fare un passo che io non sappia. Il pollice alzato, un gesto di vittoria così poco ortodosso, nella Chiesa, eppure così comprensibile a ogni latitudine. Così semplice e popolare. Il volto gonfio ma il sorriso. Perché sorridere, nella sorte avversa, è una scelta: non puoi decidere se vivere o morire, ma puoi sempre definire come farlo. Parlare a una persona sola per parlare a tutti. La signora coi fiori gialli. Certo il Papa non può sapere che quella donna è stata lì ogni giorno, coi suoi fiori. Ma li vede, sono gialli e si vedono, dunque parla a lei. Saluta lei, dei miliardi di persone nel mondo che hanno temuto e pregato per lui. È una tecnica oratoria semplice e sofisticata insieme. Dico di una, di una persona sola, una persona concreta, per dire di tutte le persone: parlo a tutti, individualmente. Quei fiori, poi, quegli stessi fiori sono quelli che lascia alla Madonna in Santa Maria Maggiore. Una deviazione del percorso inattesa, fuori programma. Passiamo un momento, per favore. Se il Papa chiede. È lì, non in Vaticano nella cripta dei Papi, che ha scelto di essere sepolto. Una chiesa popolare molto amata, a due passi dal quartiere multietnico di piazza Vittorio, l’Esquilino, il quartiere di chi arriva alla stazione Termini e si ferma, gli stranieri. Un Papa straniero. Siamo tutti da qualche parte stranieri. I fiori gialli della signora (rose, sono rose. La signora è Carmela Mancuso, ormai una celebrità) passano di mano in mano — dalle Sue mani, Lui non scende dall’auto — a quelle del cardinale che li deposita davanti alla Madonna dei pellegrini e dei migranti. La Vergine Salus Populi. La salvezza dei popoli. Non è poca cosa, anche questa, per chi guarda: forse non da Roma centro ma certamente dal resto del mondo. Il significato, i simboli. Dai tempi dei tempi i simboli servono per parlare senza dire: servono, servivano, a parlare a chi non sapeva leggere, in un certo senso è ancora così. Non aveva al naso le cannule dell’ossigeno, quando si è affacciato al balcone, ma le aveva in auto e le porterà certo sempre, nei giorni lunghi di convalescenza, nelle settimane. Lo hanno s alvato i medici, lo ha salvato la scienza. Le cannule dell’ossigeno sono questo: la scienza, la cura. Il destino di ciascuno non lo determina Dio da solo, neppure per chi crede: lo determina il progresso delle conoscenze e il sapere degli umani. Molto ringraziati, nominati uno per uno, i medici. Anche questo, in tempi di antiscienza, è formidabile. E ora? E ora. Papa Francesco governerà ancora, nel modo irrituale che gli è proprio: cosa che solleva moltissimi animi e ne appesantisce molti altri. Sarà un punto fermo. Mentre ogni cosa precipitosamente cambia e peggiora, sarà un punto. Per tutti, lo sarà. Anche per chi pensa che non lo riguardi.