Africano, pensatore politico, fu uno dei massimi teologi cristiani le sue “Confessioni” sono il primo dialogo moderno con l’inconscio
di SILVIA RONCHEY
Da san Francesco a sant’Agostino. Dall’illuminato che rivoluzionò la chiesa medievale e ne fu il più grande santo all’altro illuminato che fu il primo filosofo e il più importante padre della chiesa antica. E il fondatore della psicologia, cioè dello studio dell’anima. Quel santo che attraverso le centinaia di pagine di uno dei libri più belli della storia dell’umanità, le Confessioni , condusse la più sconvolgente e tormentosa esplorazione del mistero della psiche, arrivando a scandagliare quel “qualcosa” che in una parte profonda di lei forse si identifica, e dove l’alto e il basso si eguagliano, e immanenza e trascendenza si confondono, in un messaggio universale che parla a tutti, credenti e non credenti, del mistero di ciò che chiamiamo divino.
Quel «Qualcosa che è nella memoria anche quando l’animo non prova più nulla» (Confessioni, II 6 ).Quel Qualcosa che è «un ricordo innamorato e come il rimpianto del profumo di cibi che non siamo ancora stati in grado di mangiare ». Quel Qualcosa cui Agostino diede del tu: «Ma come posso trovarTi, se di Te non ho memoria? Sorpasserò la mia memoria?». Quel Qualcosa che ribolle al di sotto dell’Io, inaccessibile all’intelletto: «Interior intimo meo et superior summo meo », «più profondo del mio profondo e più alto del mio sommo» (Confessioni, III, VI,10 ).
Ma Agostino fu anche il teorico di quella città dello spirito contrapposta alla città della carne, di quella città di Abele contrapposta alla città di Caino, di quella città o civiltà della pace contrapposta alla città o civiltà della guerra, all’ansia di predominio — dell’uomo sull’altro uomo così come dell’uomo sulla natura — che chiamò Civitas Dei ,Città di Dio. In indelebili pagine latine, Agostino celebrò la possibilità concessa a ciascuno di noi di scegliere e chiarire la propria cittadinanza, spiegando quanto tormentoso e sconvolgente sia anche questo esercizio di autoanalisi, perché nella storia umana, così come nella psiche, le due cittadinanze coesistono, e sono mescolate, e ogni essere umano si ritrova tra le due sempre e necessariamente a mezza strada, e deve fare una scelta.
Di questo santo, filosofo, psicologo, pensatore politico il nuovo papa, Leone XIV, nel suo discorso ai fedeli tenuto ieri dalla Loggia delle Benedizioni di San Pietro, si è detto figlio. Come Lutero, sia ricordato per inciso, anche lui appartenente all’ordine spirituale e intellettuale degli agostiniani, nato nel XIII secolo, quasi dieci secoli dopo il santo da cui la regola prende il nome. Un santo africano, nato e cresciuto a Ippona, nell’attuale Tunisia, e fin da bambino dominato dalla trasgressione e dalla sensualità, ossessionato dal peccato, ma soprattutto dall’esilità del discrimine tra bene e male. Quando nel 374 la cometa di Halley comparve nel cielo, si convertì al manicheismo. Lo abbandonò, ma la questione del male attraversò tutta la sua teologia e si addensò nella riflessione sul peccato originale e il libero arbitrio. Nella polemica contro un monaco celtico, Pelagio, sostenne che l’essere umano non è libero perché la sua volontà è irrimediabilmente corrotta dal peccato originale. Ma se anche la libertà non gli è concessa, lo è il libero arbitrio, ossia la possibilità di scegliere tra il bene eil male. Il che non significa attuare il primo, ma sceglierlo, sì. L’agostiniano Lutero lo ribadirà, sostanzialmente, in quella dottrina centrale della Riforma secondo cui la salvezza si raggiunge attraverso la grazia e non attraverso le opere umane. E Agostino si rifaceva asua volta a san Paolo, che già scriveva, nella Lettera ai Romani (7, 18-20 ):«C’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; io infatti non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio». Agostino visse in quell’epoca, tra il Quarto e il Quinto secolo, che gli storici avrebbero chiamato “decadenza” e di cui lungo i secoli avrebbero scorto cause a volte sorprendentemente attuali. Per esempio la pandemia conosciuta sotto il nome di peste antonina. Per esempio il cambiamento climatico. Per esempio i grandi sommovimenti etnici da cui l’impero romano era all’epoca attraversato, e cui un tempo gli storici davano il nome di “invasioni barbariche”, ma per i quali oggi si usa la definizione inglese di Migration Period a sua volta calcata su quella tedesca di Völkerwanderung — “movimento di popoli”. Al quale proposito, per quegli arcani della storia che forse nascondono nelle sincronicità casuali un segno di ciò che è da venire, non molto tempo fa Francesco fu costretto a correggere ilbaby catholic JD Vance, che proprio ad Agostino dice di dovere la sua conversione, quando citò il concetto di ordo amoris per giustificare le politiche di deportazione dei migranti dell’amministrazione Trump – una lettura distorta dell’idea agostiniana per cui l’amore per il vicino precede quello per il lontano. Bergoglio rispose con una lettera inviata ai vescovi americani. «Il vero ordo amoris che occorre promuovere – scrisse il Papa — è quello che scopriamo meditando costantemente la parabola del Buon Samaritano (Luca 10, 25-37 ), ovvero meditando sull’amore che costruisce una fratellanza aperta a tutti, senza eccezioni ». Parole che devono avere fatto meditare il nuovo Papa su una barbarie diversa da quella che vide l’ispiratore del suo ordine, ma altrettanto brutale.
Agostino assisté al sacco di Roma dei Visigoti di Alarico nel 410 e lo interpretò come il segno della fine imminente di una civiltà e della possibilità del nascere di un’altra a lei contraria. Ma pochi decenni dopo un altro sacco, ancora più rovinoso, sarà portato dai Vandali. Oggi il sacco al quale assistiamo è quello del pianeta, della natura, dell’ambiente. Portato dalla barbarie non certo di popoli migranti, ma di comunità così ferreamente stanziali da non credere alla possibilità di una fine del proprio mondo, se non del mondo tout court. Non sono tempi troppo diversi dai nostri, i tempi di Agostino. Ma non dimentichiamo quello che lui stesso scrisse: «Sono tempi cattivi, dicono gli uomini. Vivano bene e i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi».
“ Fin da bambino fu dominato dalla trasgressione, ossessionato dal peccato e dall’esilità del discrimine tra bene e male
“Assisté al sacco di Roma del 410 e lo interpretò come il segno della fine di una civiltà e della possibilità del nascere di un’altra a lei contraria