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Alzi la mano chi avrebbe scommesso anche un centesimo sull’eventualità che il Cnel avrebbe fatto una minima apertura all’ipotesi del salario minimo caldeggiata dalle opposizioni. E infatti ieri, in tempo con il termine di due mesi che si era autoassegnato quando Meloni lo aveva coinvolto nella partita, il presidente Brunetta ha illustrato il “no” suo e del Consiglio, che si è pronunciato piuttosto a favore di un incremento della contrattazione nazionale e ha respinto un emendamento di cinque consiglieri che volevano ammettere il salario minimo per alcune categorie più fragili. Decisione presa a larga maggioranza (39 contro 15, con 8 astenuti), con Cgil e Uil contrarie e Cisl e altri sindacati a favore. Accolta male, ovviamente, dalle opposizioni, soprattutto da Conte, ma anche da Schlein, che meditano di chiedere un rinvio della discussione parlamentare sulla loro proposta, in calendario per la prossima settimana, per preparare meglio una contromossa.
Quale, sarà da vedere. Se il governo, con la collaborazione del Cnel, ha deciso di tener duro, sostanzialmente sfidando le opposizioni – per capire quanto c’è di convinzione e quanto di propaganda nel tema che per la prima volta è servito a mettere insieme con le stesse (o quasi) parole d’ordine i partiti di centrosinistra, che avevano smesso di collaborare dopo la fine dell’esperienza del governo giallorosso – è perché i dati di cui dispongono dicono che la platea dei possibili fruitori del salario minimo sarebbe assai limitata, sull’ordine di tre milioni di lavoratori sottopagati, e notevole il rischio che una parte di questi resti agganciata al livello minimo di paga, quando potrebbe ottenere di più in una vera contrattazione aziendale o sindacale. In questo senso anche alcune perplessità che emergono dall’interno della Cgil sono fondate.
Semmai è curioso il paradosso per cui economisti liberali come Brunetta, ma anche altri, in passato più favorevoli alle logiche di mercato e alle eccezioni salariali aziendali al contratto nazionale, adesso lo difendano per schierarsi contro il salario minimo. Lo fanno con seri motivi, per carità. Ma anche perché hanno capito che alle lunghe il salario minimo è destinato ad aprire una contraddizione all’interno della Cgil e più in generale della sinistra.