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«I miracoli di Val Morel»: un album della memoria in 39 ex voto. E tutto l’universo dell’autore
di Lorenzo Viganò
Dino Buzzati non credeva in Dio e nemmeno nell’Aldilà. Per lui dopo la vita c’è il nulla e forse, diceva, «è meglio così». Dio, secondo il suo pensiero, «è creato dall’energia spirituale delle suggestioni umane»: esiste perché ci crediamo. E quelle suggestioni possono essere talmente potenti da produrre «autentici miracoli». Come nella storia hanno dimostrato stregoni, sensitivi e santi. È questo lo spirito con cui l’autore del Deserto dei Tartari immagina e costruisce quello che diventerà il suo ultimo libro: I miracoli di Val Morel. L’estremo saluto al mondo, il capitolo finale della sua vita e della sua opera. Il suo testamento, di uomo e d’artista. Di scrittore e di pittore. Un libro poco conosciuto e molto amato; sparito e ritrovato; via via ingrandito, rimpicciolito, rimaneggiato, che ora torna in libreria da Mondadori nella veste e nel formato della prima edizione, così come era stata pensata e realizzata dal suo autore oltre cinquant’anni fa.
Si tratta, come lo definisce lui stesso, di un «racconto in trentanove piccoli capitoli, risolto più con le immagini che con le parole»; trentanove ex voto per altrettanti miracoli immaginari — di genere fantastico — attribuiti, nella finzione letteraria, a santa Rita da Cascia, la santa degli «impossibili» cui ci si rivolge quando non c’è più niente da fare. Miracoli popolati da balene volanti, labirinti senza uscita, serpentoni dei mari, formiche mentali, gatti giganti, caproni satanici, marziani… che la fantasia di Buzzati, fingendo il ritrovamento nella biblioteca paterna di un «curioso quadernetto», colloca tra il 1500 e la prima metà del 1900 principalmente nelle zone del Bellunese, dove lo scrittore è nato, cresciuto e ha passato la maggior parte delle sue estati. Miracoli apocrifi che egli disegna «fermando», come vuole la tradizione, il momento preciso dell’intervento della santa e la grazia ricevuta. E che, come vuole la sua pittura narrativa, accompagna con un breve testo, il quale aggiunge alla storia elementi, indizi, retroscena e sviluppi.
Ne risulta un libro che, come nella «Spiegazione» che lo introduce — un racconto a tutti gli effetti —, miscela in perfetto stile buzzatiano vero e falso, cronaca e invenzione, presente e memoria. Parola e segno. Confermando, una volta in più, quanto il suo autore non fosse incasellabile e ogni suo lavoro stupisse critici e lettori, disorientando i primi e affascinando i secondi, come era successo, appena due anni prima, con Poema a fumetti, la prima Graphic Novel italiana.
Fantasia
Sono miracoli attribuiti, nella finzione letteraria, a santa Rita da Cascia, la santa degli «impossibili»
Nato da una mostra d’arte tenuta da Buzzati alla galleria Naviglio-Venezia di Renato Cardazzo (Miracoli inediti di una santa), il volume, pubblicato nel novembre 1971 da Garzanti (l’unico con questo editore), esce frettolosamente. Buzzati fa appena in tempo a presentarlo (e firmarlo) alla Libreria Cavour di Milano alla fine dello stesso mese, dopodiché, una settimana più tardi, entra nella clinica La Madonnina dove morirà nel gennaio dell’anno successivo. E quella fretta — dettata forse dal desiderio di mandarlo in libreria quando l’autore è ancora in vita — insieme con l’uscita appena un mese prima della sua ultima raccolta di racconti Le notti difficili, lo penalizza: sia al momento della pubblicazione che negli anni successivi. Pochi sono gli articoli che lo recensiscono — sul «Corriere della Sera» ne scrive Geno Pampaloni presentandolo insieme con i nuovi racconti — e così passa quasi inosservato. Non c’è il tempo per scoprirlo, per coglierne il valore, l’unicità, la forza e la poesia, e alla fine scompare con l’autore, finendo a lungo relegato ai margini della sua opera.
Ingiustamente. Perché I miracoli di Val Morel, che a prima vista può sembrare un catalogo d’arte, da sfogliare più che da leggere, è un album della memoria e dei luoghi dell’anima, ricco di rimandi, citazioni, messaggi e assonanze, nel quale si mischiano fatti vissuti, ascoltati e sognati in sessant’anni di vita. È una galleria dove sfilano paure, speranze, ricordi, suggestioni infantili, ed è, nello stesso tempo, un compendio dei suoi temi iconografici e letterari più tipici. «Tutto l’universo buzzatiano è raccolto in queste pagine scritte e dipinte», scrive Alberico Sala: «fantasie e terrori, passione dei monti e del mare, confidenza coi mostri, pietà per le bestie, tentazione del dolore, gioco verbale, stupore e scatto dei timidi, sentimento della religione, bellezza esaltata e punita». È, dopo aver tanto cantato Milano, un ritorno a casa, alle origini, alla gente e ai luoghi della sua terra. È, ancora, «un’epica contadina» come l’ha definita Giulio Nascimbeni.
«Si proponeva di comporre un album di scherzi, e invece ha scritto con il pennello la sua poesia più bella. Vi ha preposto una spiegazione che vorrebb’essere una burla, e che invece è uno dei suoi più magici racconti», scrive Indro Montanelli nell’introduzione. Ma non solo: I Miracoli di Val Morel sono anche lo specchio dei sentimenti che agitavano Buzzati negli ultimi mesi di vita. Quando la malattia che lo aveva colpito era ormai a uno stadio avanzato e soltanto un miracolo «impossibile» di santa Rita — sembrava sottintendere lo scrittore — avrebbe potuto salvarlo, distraendo la morte che gli camminava accanto. Non sarà così. Buzzati sì disegnerà un proprio ex voto — il quarantesimo, non inserito nel libro —, dipinto per ringraziare il suo medico curante che, durante una crisi dello scrittore, lo visita a Belluno. Vi è raffigurata la villa di famiglia, con la finestra della sua camera illuminata e la santa che, brandendo un bastone, allontana il demone impedendogli di entrare, «uno spirito maligno di incerta stirpe sceso a insidiare tale Buzzati Dino in quel di San Pellegrino — Belluno, estate 1971». Ma la vera, definitiva grazia non sarà ricevuta. Non basterà, questa volta, credere al miracolo perché si avveri. E la luce della sua stanza si spegnerà.