Roberto Salis
“Ilaria punita perché donna e antifascista È stata trattata ancora come un cane”
E adesso? «Adesso non lo so. È tutto molto frustrante. Avevamo trovato una soluzione ottimale, eravamo contenti. L’altra sera siamo andati a vedere la casa che era stata scelta per gli arresti domiciliari, sembrava tutto a posto. Invece, è andata così: non ce li hanno concessi. Ma non ci arrendiamo».
Sole. Vento forte. Fine dell’udienza, pezzi di carta che volano in aria. Davanti alla Metropolitan Court di Budapest, Roberto Salis prende un lungo respiro, si guarda intorno, e poi risponde alle domande.
Cosa vi siete detti in aula con sua figlia?
«C’erano troppi microfoni accesi. Era impossibile parlare liberamente. È molto delusa. Molto provata. Si aspettava un’evoluzione diversa».
Come giudica quelle catene ancora alle caviglie e ai polsi di Ilaria?
«Sono un decisione strategica del governo ungherese. Non dipendono dal giudice, ma direttamente dal potere esecutivo. Hanno stabilito che per loro è giusto così. Volevano dare una prova di forza sul fatto che loro se ne infischiano delle regole europee e dello stato di diritto».
E il governo italiano?
«Il nostro governo non ha fatto una bella figura. Perché abbiamo seguito esattamente le indicazioni del ministro Nordio, il quale ci ha accusato di aver perso tempo dietro alla richiesta di arresti domiciliari in Italia. Dovevamo chiedere gli arresti domiciliari in Ungheria, era quella la strada corretta da seguire. Ed eccoci qui».
Qui dove?
«Dobbiamo convivere con questa situazione. Con la giustizia ungherese, con le istituzioni italiane. Troveremo il modo di far valere le nostre ragioni. Ma l’unico modo per tirare fuori Ilaria dal carcere è con il sostegno degli italiani. Abbiamo bisogno di solidarietà, ne abbiamo avuta tanta e spero che aumenti ancora».
Sole. Vento forte. Fine dell’udienza, pezzi di carta che volano in aria. Davanti alla Metropolitan Court di Budapest, Roberto Salis prende un lungo respiro, si guarda intorno, e poi risponde alle domande.
Cosa vi siete detti in aula con sua figlia?
«C’erano troppi microfoni accesi. Era impossibile parlare liberamente. È molto delusa. Molto provata. Si aspettava un’evoluzione diversa».
Come giudica quelle catene ancora alle caviglie e ai polsi di Ilaria?
«Sono un decisione strategica del governo ungherese. Non dipendono dal giudice, ma direttamente dal potere esecutivo. Hanno stabilito che per loro è giusto così. Volevano dare una prova di forza sul fatto che loro se ne infischiano delle regole europee e dello stato di diritto».
E il governo italiano?
«Il nostro governo non ha fatto una bella figura. Perché abbiamo seguito esattamente le indicazioni del ministro Nordio, il quale ci ha accusato di aver perso tempo dietro alla richiesta di arresti domiciliari in Italia. Dovevamo chiedere gli arresti domiciliari in Ungheria, era quella la strada corretta da seguire. Ed eccoci qui».
Qui dove?
«Dobbiamo convivere con questa situazione. Con la giustizia ungherese, con le istituzioni italiane. Troveremo il modo di far valere le nostre ragioni. Ma l’unico modo per tirare fuori Ilaria dal carcere è con il sostegno degli italiani. Abbiamo bisogno di solidarietà, ne abbiamo avuta tanta e spero che aumenti ancora».
Nel concreto cosa significa?
«Spero che ci sia una protesta contro l’immobilismo del governo italiano».
Lei non voleva che succedesse, ma adesso lo può dire: il caso Salis è un caso politico?
«È evidente. Mia figlia in questo in Paese è colpevole per tre motivi specifici. È una donna. Non è un ungherese. Ed è antifascista. La combinazione dei tre fattori la rende a Budapest il nemico pubblico numero uno, qualcosa da eliminare anche fisicamente».
Cosa ha detto a Ilaria quando vi siete salutati?
«Di stare tranquilla. Continueremo a lottare per lei».
Ha detto il giudice: «Le circostanze non sono cambiate. Non è cambiato lo status di detenuta pericolosa. Le aggressioni erano potenzialmente letali». Cosa pensa di questo?
«Mia figlia è stata trattata ancora come un cane».
È una scelta di Viktor Orban?
«L’Ungheria aveva la chiara intenzione di dare una prova di forza. E tutte le fandonie che ci vengono propinate sul fatto che sia impossibile interagire e interferire da parte del governo sul sistema giudiziario sono cose ridicole a cui non crederebbe nessuno. È una precisa decisione politica».
Dica la verità. Ci sperava davvero?
«Non tanto, lo ammetto. Dopo le dichiarazioni fatte nei giorni scorsi, e penso a quelle del ministro degli Esteri ungherese e a quelle dell’ambasciatore ungherese in Italia, era chiaro che sarebbe stato difficile. Speravo in una ripensamento, questo sì. Speravamo in una via di mezzo. Ma non c’è stata. Catene e carcere».
Si torna sempre alla questione del caso politico?
«Sì, ma non è per volontà di politicizzare a tutti i costi o meno la questione, davvero. Ci sono evidenti infrazioni a delle regole elementari, non ultima quella di condurre una cittadina italiana in catene davanti a un giudice. Lo hanno fatto un’altra volta con mia figlia. Ripeto: è qualcosa che non dipende dal potere giudiziario. Ma da una precisa volontà dell’esecutivo. È un messaggio dell’Ungheria all’Europa. Una prova di forza».
E voi, adesso, come state sotto a quest’esercizio di potere?
«Male. Molto male. Mia figlia è devastata».
La Corte d’Appello di Milano ha rifiutato di consegnare all’Ungheria Gabriele Marchesi, coimputato per le stesse aggressioni di Budapest. Cosa significa?
«Significa che siamo di fronte a un problema grande come una casa. Visto che ci sono reati che non meritano l’estradizione, e altri reati identici per cui invece…».
Gira voce che il Pd starebbe pensando a una candidatura per sua figlia alle elezioni europee. È vero?
«Non ne sono niente. Questa è una domanda che non dovete fare a me».