di Stefano Lepri
«Nessuna nuova tassa» si continua a ripetere, come sempre per ogni manovra d’autunno. E invece le tasse ci sono, travestite in diverse maniere. Al sodo, per i contribuenti, saranno tributi in più le detrazioni riviste. Molti tagli di spesa potrebbero essere rovesciati sui cittadini come balzelli. Bisognerà far bene i conti, senza imbrogli.
Di alcuni sgravi vantati, come l’unificazione delle due aliquote più basse dell’Irpef, la gran parte dei cittadini nemmeno si renderà conto. Il rinnovo del bonus sulle ristrutturazioni, al 50% è un vero segno di debolezza, dopo che si erano inviate tante (giustificate) invettive al Superbonus del 5 Stelle.
Proviamo a immaginare che direbbe una Giorgia Meloni ancora all’opposizione se misure come queste di ieri sera le avesse varate un governo composto di altri partiti (e magari guidato da Mario Draghi). Per non litigare troppo, si sono concordati «tagli lineari» alla spesa: dopo settimane in cui si predica che occorre limare il superfluo, sfrondare, razionalizzare, si conclude che un pochino per uno non fa male a nessuno.
Sono comunque, i tagli lineari, una rinuncia a fare scelte, quelle scelte che dovrebbero essere il vero oggetto del governare. Per questa via la qualità della spesa pubblica quasi sempre peggiora. Si ha quella che gli economisti premiati ieri l’altro con il Nobel studiano da un quarto di secolo, una «redistribuzione inefficiente». Si sposta il denaro dove serve per tutelare gli equilibri politici correnti.
È a causa di una redistribuzione inefficiente che in Italia si è mantenuto in vita uno stuolo di piccolissime imprese che non è capace di passare a tecnologie più avanzate o soltanto di sfruttare economie di scala (anche nei settori non industriali: ad esempio abbiamo un maggior numero di alberghi ma vi accogliamo molti meno turisti di Spagna e Francia). Ma chi la asseconda non va lontano, casomai resta impantanato.
Dov’è che si gettano le basi per un migliore futuro? Il concordato fiscale – non a caso, una vecchissima idea a cui era rimasto affezionato Giulio Tremonti – ci riprecipiterebbe, se funzionasse, in patteggiamenti collettivi o individuali, che peggiorano la frammentazione del nostro sistema economico. Molto probabilmente non funzionerà.
Insomma, sono idee vecchie, adeguate a un Paese che resiste alle novità e si rifiuta di guardare lontano, E il «contributo» chiesto alle banche? In un Paese civile, le tasse si impongono in base a parametri razionali e sono in linea di principio uguali per tutti. Finora si è avuta l’impressione che si procedesse in altro modo, un po’ minacciando i banchieri, un po’ patteggiando con loro.
L’unico sforzo di fantasia il governo lo esercita nel tentativo di non far percepire come tali gli inasprimenti fiscali. È certo opportuno razionalizzare e semplificare l’intricato sistema di detrazioni di imposta, frutto dell’accumulo di emendamenti favoriti da maneggi parlamentari. La tassazione sarebbe anche resa più equa da un aggiornamento delle rendite catastali: nel caso, la destra si ricordi dei pandemoni che ha scatenato contro chiunque ci provasse.