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25 Dicembre 2025Divano La rubrica settimanale a cura di Alberto Olivetti
E crisi costituisce, infatti, il fulcro problematico al quale si appoggia Aldo Tortorella, di Banfi allievo, nel dare conto dell’antologia nella intensa recensione che appare nel novembre del 1959 su Rinascita: Antonio Banfi e la Ricerca della realtà. «Il punto di partenza è la crisi» scrive Tortorella, «la crisi della cultura e dei valori che si manifesta agli inizi del secolo». E la crisi va affrontata nella sua radicalità ovvero ancorata e indagata storicamente, nella concreta relazione economico-sociale. Tortorella, considerando le discussioni dedicate alla crisi nei primi vent’anni del Novecento rileva come le varie filosofie allora di moda avessero «provato il loro atteggiamento teoreticamente inconcludente ed eticamente imbelle metafisicizzando la crisi stessa, sostanziale rinuncia a un impegno eticamente costruttivo». In Banfi tutta l’analisi della crisi è condotta sul terreno strettamente teoretico-concettuale, dice Tortorella, tanto da individuare nella storicità e attualità della crisi la storicità e attualità del suo superamento. Avviene su questi presupposti l’incontro di Banfi con Marx: «il marxismo diventa per Banfi l’umanesimo radicale e costruttivo dell’epoca nostra».
Del resto Banfi ribadisce costantemente questo suo convincimento nel corso della sua ricerca. Si legge (un esempio tra i numerosissimi) ne L’uomo copernicano (pubblicato presso Mondadori nel 1950): «È il principio di un nuovo umanismo non più mitico né utopistico, ma realistico e storico, perché in esso è veramente trovato quel punto fermo su cui si può sollevare il mondo degli uomini, ed è trovato all’interno stesso della loro realtà».
E ancora. Il materialismo storico puntualizza Banfi, «in quanto teoria non solo della storia narrata, ma della storia agita, il suo sforzo per comporre una nuova unità in funzione dell’autonomia e dell’universalità dell’umano è lotta contro ogni evasione e contro ogni dogmatismo, è lotta per la liberazione della cultura da ogni forma di oscurantismo in un processo di costruzione aperta e infinita». Sì che «marxismo non è una filosofia o una storia, ma l’attualità della filosofia e della storia operante nella libertà della ragione». Tanto che, nel convincimento di Banfi, in questa nuova energia costruttiva (che rappresenta al grado più alto la potenza dell’uomo «copernicano») sta la forza risolutrice della crisi stessa come sua positiva validità storica. E Tortorella sottolinea come «qui, posizione teoretica e posizione ideologico-politica si sanno l’una in funzione dell’altra, secondo una cosciente circolarità che non può essere spezzata senza mutilare e deformare il pensiero». E senza eludere le conseguenze etico politiche che tale concezione della crisi comporta.
In certi appunti inediti del 1934, 1935 che vedranno la luce nel 1967 (La crisi, Milano, All’insegna del pesce d’oro) Banfi scrive: assumere la crisi «nella sua concretezza e quindi nella sua radicale positività come principio di volontà e di attività, per cogliere la problematica profonda dell’umanità, così che essa divenga la sua vita e la sua libertà in atto: destare questa coscienza per ora e per sempre: infinita inquietudine e infinita certezza». Inquietudine e certezza due parole che, pare a me, bene si attagliano alla figura e all’opera di Aldo Tortorella.





