ROMA — L’hanno chiamata “Operazione Acri”. Così l’hanno battezzata sia gli alti dirigenti di Fratelli d’Italia che l’hanno concepita, sia i finanzieri milanesi che l’hanno scoperta e investigata. Acri, il cognome di Giovanni Francesco Acri: dimessosi all’improvviso nel giugno del 2021 dal Consiglio comunale di Brescia «per esclusivi motivi professionali», lasciando il seggio a Giangiacomo Calovini, in quel momento organico all’esecutivo nazionale di Fratelli d’Italia col ruolo di vice responsabile del dipartimento “Italiani nel mondo”. Stesso partito, correnti diverse. Per i magistrati di Milano, l’operazione si è realizzata solo per l’accordo corruttivo che l’ha sorretta. Per gli indagati che rischiano il processo — Acri, Calovini, l’europarlamentare Carlo Fidanza e l’ex deputato Giuseppe Romele — è stato invece il frutto di un patto politico. Un frutto, si vedrà, amaro, maturato in due incontri nella sede nazionale di Fdi e sotto l’ombrello dei vertici politici. Che Daniela Santanchè è stata costretta a ingurgitare. E di cui Giorgia Meloni «sapeva tutto».
Il sistema Fratelli d’Italia
Le carte agli atti della procura di Milano, depositate per la chiusura dell’indagine che anticipa le richieste di rinvio a giudizio, sono un balcone affacciato su Fratelli d’Italia, partito passato dal 3,7 per cento ad essere il più votato del Paese nell’arco di una legislatura. Leggendo, se ne osservano le tensioni nel gruppo dirigenziale, i conflitti tra i capicorrente smentiti a parole ma vivi nei fatti, gli interessi che prevalgono ora sull’uno, ora sull’altro. È uno spaccato inedito che dice molto di come vanno le cose nel ventre di FdI. L’operazione Acri, dunque.
Comincia subito dopo le Amministrative di Brescia del 10 giugno 2018 in cui l’unico seggio per FdI, quello di Piazza della Loggia, è assegnato per una trentina di preferenze al medico calabrese Gianfrancesco Acri. È uomo della cordata lombarda che fa capo all’attuale ministro del Turismo Daniela Santanchè e all’ex senatore Mario Mantovani. Quell’unico posto fa gola a tanti, perché è la voce del partito all’interno della seconda città della Lombardia. Ci puntava Calovini, primo dei non eletti e candidato della cordata di Fidanza. Un voto che non gli va giù. A loro dire, infatti, Acri non partecipa quasi mai alle sedute in Consiglio, è assenteista. Dicono che frequenti malacarne, come pare emergere in un processo di Brescia in cui in un verbale si sostiene che al suo matrimonio fossero presenti esponenti della malavita calabrese. «Ma Acril’è en un mafius », scrive qualcuno nelle chat di FdI. E Calovini pare d’accordo: «Hanno costruito tutto attorno a un tavolo con Romele, Acri e qualche membro della criminalità organizzata». Vero o falso che sia, Fidanza e i suoi si convincono che vada rimosso. Sì, ma come?
La contropartita
La pandemia congela l’operazione fino a quando, siamo nel febbraio del 2021, Acri e il suo mentore Romele sembrano allontanarsi da Santanchè. È il momento perfetto per agganciarlo, ma la sua uscita di scena non sarà gratis. «Abbiamo capito cosa vuole Acri?», chiede l’eurodeputato Fidanza, ipotizzando una soluzione. «Se serve per levarlo dai coglioni sono disponibile a dargli un vitalizio di mille euro al mese fino a fine legislatura (magari mettendo sotto contratto non lui ma uno/una che lui cidice) per agevolare la fuoriuscita». Acri, Fidanza, Calovini si incontrano almeno tre volte a casa di Romele. Acri pone delle condizioni: essere nominato vice coordinatore di FdI a Brescia, la promessa di candidatura alle Regionali, l’introduzione con l’ambasciata russa e, cosa più importante, l’assunzione del figlio diciassettenne Jacopo nello staff di Fidanza. È il regalo che vuol fare al figlio avuto con la prima moglie, prima di trasferirsi in Russia.
Il tentativo di Santanchè
A Santanchè arriva la voce che Acri stia per tradirla con Fidanza: i due, non è un segreto, si sopportano a malapena. Santanchè contatta il consigliere comunale. «Mi spiace molto e ti dico di non credere alle promesse…», gli suggerisce. Calovini lo viene a sapere e si infuria. Per lui occupare una sedia nel Consiglio bresciano è propedeutico per aspirare al Parlamento (dove infatti verrà eletto nell’ultima tornata). Nella chat della sua famiglia si sfoga malamente: «Santanchè sta facendo di tutto per non farmi entrare in Consiglio. Quando morirà, perché morirà, cagherò sulla sua bara durante la cerimonia».
Il contratto da 800 euro
L’operazione Acri va in porto il 25 giugno. Jacopo Acri ottiene un contratto part-time da 795 euro lordi con Fidanza. Non va a Bruxelles: collabora dall’Italia dove deve ancora finire gli studi all’Istituto tecnico agrario. Nel momento esatto in cui riceve la copia del contratto su WhatsApp, e non un minuto prima, Gianfrancesco Acri si dimette consegnando la lettera all’ufficio del protocollo. «Il motivo è legato esclusivamente all’impossibilità per molteplici impegni di lavoro in Italia e all’estero”, spiega il medico calabrese, nella lettera scritta 96 ore prima da un collaboratore di Calovini.
Gli incontri in via della Scrofa
Non sono ancora le 8 di mattina quando il neo consigliere apre WhatsApp e si confida nella chat “Ristretto Vecchia Guardia”, i cui componenti sono amici ed esponenti FdI dei comuni del Bresciano. «Qualche dettaglio in più», scrive Calovini. «La trattativa sulla Loggia parte da lontano su oggettiva intuizione di Romele e Maffoni (ex senatore, ora sindaco di Orzinuovi, ndr). Ovvio che Acri si è dimesso con due o tre piccole contropartite benedette in due incontri in via della Scrofa alla presenza dei massimi dirigenti nazionali. Giorgia sapeva tutto».
Stando a quanto riferisce aRepubblica una fonte interna al partito, agli incontri romani era presente l’onorevole Giovanni Donzelli. Con lui c’erano Acri, Calovini, Romele e, una volta, anche Maffoni, quello dell’intuizione. Giorgia Meloni non c’era. Ma cosa sapeva dell’operazione bresciana? «Solo che era un normale avvicendamento politico», spiega la fonte. «Ignorava che Acri avesse chiesto l’assunzione del figlio. Né lo sapeva Donzelli». Poco dopo l’operazione Acri, Fidanza si auto sospenderà dagli incarichi di partito, per tutt’altra vicenda: le rivelazioni di Fanpage sulla lobby nera milanese. Una settimana fa, la procura, che su quell’inchiesta giornalistica aveva aperto un’indagine, ha chiesto per lui l’archiviazione.