Matteo Renzi. Sul campo largo
Alessandro Di Matteo
La scelta di Vito Bardi in Basilicata non significa che Italia viva ha ormai deciso di posizionarsi nel centrodestra e per Matteo Renzi l’obiettivo resta quello di «picchiare» a destra come a sinistra». In Lucania la rottura era inevitabile, perché «da una parte c’è un candidato serio come Vito Bardi» mentre «all’altra il Pd si fa comandare dai grillini lucani che mi accusavano di “avere le mani sporche di soldi e di sangue” per la vicenda Tempa Rossa, una dei tanti finti scandali con cui hanno cercato di azzopparci». Ma, precisa, «in un mondo dilaniato in Ucraina e Terrasanta, con problemi devastanti in Africa e Sud est asiatico trovo tuttavia doveroso ricordare che stiamo parlando della Basilicata. Regione bellissima, sia chiaro. Ma una delle venti regioni italiane, non il centro del mondo». Ammette che lo spazio per una forza di centro autonoma esiste «solo alle europee, col proporzionale», ma ribadisce che «la sinistra radicale esalta i commentatori, ma perde le elezioni. Per me si vince al centro».
Ma anche a Firenze e in Piemonte le strade si separano?
«A Firenze andiamo soli. Il nuovo Pd sta con la sinistra radicale e mette 55 milioni di euro del contribuente sullo stadio. I soldi pubblici devono andare alle scuole, alle case popolari, agli ospedali. Non agli stadi. Cercheremo di arrivare al ballottaggio: se ci arriviamo, vinciamo noi. Se non ci arriviamo, saremo gli arbitri della sfida per Palazzo Vecchio. Quanto al Piemonte è ancora presto per dirlo».
Insomma, il campo largo non è morto?
«Il campo largo secondo me non è mai esistito. Ma non mi metto a parlare ora di campo largo o stretto, voglio fare grande risultato a europee perché lo possiamo fare. Io picchio a destra e a sinistra, Conte è una banderuola e alla Meloni bisogna smettere di perdonare tanto. Poi vediamo come vanno le europee e dopo ragioneremo».
Lei spesso parla di Schlein dicendo “il mio Pd non era così”. Pensa che il partito che guidava ha subito una mutazione genetica? In realtà, come sa bene, l’ala sinistra dei dem ritiene che sia stato lei il corpo estraneo nel Pd…
«È un dibattito non solo italiano. Quando noi eravamo al Governo abbiamo superato il 40%, abbiamo vinto 17 regioni su 20 e governato in seimila comuni su ottomila. Allora facevamo le primarie e vincevamo le elezioni, oggi non più. Ma non voglio buttarla sul personale. Facciamo lo stesso ragionamento per il Regno Unito: finché c’era Blair vinceva. Quando la sinistra di Miliband e Corbyn ha preso il partito, i laburisti hanno perso tutto. La sinistra radicale esalta i commentatori ma perde le elezioni: perché per me si vince al centro».
Fi sta tenendo oltre le aspettative, mentre il terzo polo si è spaccato. Non è che alla fine sarà Tajani a conquistare i vostri voti?
«La scelta di Calenda di spaccare il terzo polo è inspiegabile, illogica, impolitica. E il fatto che sia l’unico a non volere la lista “Stati Uniti d’Europa” dimostra che lui è il responsabile del disastro di questi mesi. Ma non credo che Forza Italia farà un grande risultato. Anche perché Tajani è schiacciato su Ursula Von der Leyen una presidente che con il suo furore ideologico ambientalista ha fatto male agli italiani e alle imprese italiane. Non vedo l’ora di andare fabbrica per fabbrica in campagna elettorale per dimostrare i limiti di Forza Italia».
Non pensa che l’idea di un “polo di centro” sia fuori tempo? Persino M5s ha molto abbandonato l’approccio “piglia tutto” delle origini e si colloca più nettamente a sinistra.
«Uno spazio centrale che si allontani dagli opposti estremismi è possibile solo alle europee, grazie al proporzionale. Quanto a M5s vediamo: una volta è di sinistra, una volta è di destra, dipende da come si sveglia Casalino e da come vanno gli algoritmi».
Con quale lista andrete alle europee? Non la preoccupa lo sbarramento?
«La lista viene dopo, prima i contenuti. Elezione diretta del Presidente della Commissione, superamento del diritto di veto, difesa comune in vista dell’esercito europeo: su questi temi se si realizzerà una lista di scopo come proposto da “Più Europa” noi ci saremo. Altrimenti andremo da soli convinti di superare agevolmente lo sbarramento: il 5% è alla nostra portata. Anzi, correremmo per il quarto posto insieme a Lega e Fi: Sono pronto a metterci la faccia, e il cuore, in tutti i collegi».
Qualche volta lei ha detto che si aspetta scossoni sul governo dopo le europee. Lo pensa ancora? Meloni rischia qualcosa, soprattutto in caso di sconfitta della Lega?
«Vedo la Premier nervosa, anche ieri in Aula. E non capisco perché. In teoria ha una maggioranza solida. Ma sembra dubitare della sua stessa coalizione. Il tempo dirà se è tutto cinema o sono davvero divisi».
Lei in aula ha chiesto alla premier di “sfidarvi sulla politica”, ha elencato tre temi: no a Ursula von der Leyen, riportare Salis in Italia, lavorare per gli Stati Uniti d’Europa. Praticamente chiede a Meloni di non essere più di destra…
«No. Chiedo a Meloni di essere patriota. Di fare l’interesse dell’Italia, non di fare polemica con l’opposizione ogni volta che si va al consiglio europeo».
L’Europa è a un bivio: a est la guerra in Ucraina, negli Usa il possibile ritorno di Trump. Scholz chiede di investire nella difesa europea. Lei ci crede? L’Ue riuscirà a fare quel salto di qualità che finora è mancato? Magari con Draghi?
«Serve un salto di qualità militare, certo. Ma soprattutto serve un salto di qualità diplomatico. Se l’inviato speciale in Medio Oriente si chiama Luigi Di Maio non ci stupiamo se poi non tocchiamo palla come europei. Quanto a Draghi, certo, sarebbe un gran colpo: servono leader, non followers. E per questo vanno mandati a casa i grigi burocrati come Ursula».