Il 2023 si chiude con l’invasione israeliana di Gaza che ha fatto 21.672 morti, 165 dei quali tra venerdì e sabato, e 56.165 feriti, oltre ai circa 1.400 israeliani, tra civili e militari, rimasti uccisi il 7 ottobre nell’attacco di Hamas e nei mesi successivi. Il 2024 che comincia domani potrebbe portare all’escalation della guerra in Medio oriente. La Siria ieri ha accusato Israele di aver attaccato l’aeroporto militare di Nairab, vicino ad Aleppo. E la tv Al Mayadeen ha aggiunto che i raid aerei sono stati quattro.

L’aviazione israeliana, che giorni fa aveva ucciso a Damasco, Ravi Mousavi, uno dei comandanti più importanti della Guardia rivoluzionaria iraniana, ormai attacca ovunque, dal Libano alla Siria, obiettivi e milizie affiliate a Teheran. Venerdì sera, jet non identificati (ma tutti sanno che erano israeliani) hanno colpito un convoglio di otto camion, distruggendone quattro, e tre edifici usati da gruppi sostenuti dall’Iran nella città siriana di Albukamal lungo un valico di frontiera strategico con l’Iraq. Un comandante locale delle Forze di mobilitazione popolare irachene (Hashd Shaabi) ha riferito che quattro persone sono state uccise.

Al confine tra Libano e Israele non si può più parlare di guerra a bassa intensità. Le forze israeliane martellano il sud del Libano. Ieri in particolare il villaggio di Kfarkela che considerano una roccaforte di Hezbollah alleato dell’Iran. Da parte sua il movimento sciita libanese ha rivendicato un attacco contro le postazioni israeliane nell’area delle Fattorie di Shebaa. In Libano sale la tensione politica di pari passo con il pericolo di una guerra aperta con Israele. Il leader della destra estrema cristiana Samir Geagea, ha accusato Hezbollah di portare avanti un conflitto senza aver mai ricevuto l’autorizzazione dal Parlamento e del governo. Allo stesso tempo Geagea ha espresso solidarietà alla popolazione di Gaza sotto attacco, una presa di posizione insolita per la destra libanese storicamente ostile ai palestinesi e amica di Israele.

L’attacco a Gaza non conosce soste, grazie al decisivo sostegno statunitense. L’Amministrazione Biden senza attendere la decisione del Congresso ha dato il via libera all’invio in Israele di un’altra fornitura di armi da 147,5 milioni di dollari. A comunicarlo è stato il segretario di Stato Antony Blinken che tra qualche giorno sarà di nuovo Medio oriente dove non mancherà, di esprimere la sua «preoccupazione» per l’emergenza umanitaria a Gaza causata proprio dalle bombe Usa sganciate sui palestinesi. Il pacchetto di munizioni include cariche e primer necessari per far funzionare i proiettili da 155 mm già acquistati da Israele. Le forze dello Stato ebraico ieri si sono spinte più in profondità nella parte centrale e meridionale di Gaza con pesanti raid aerei e un intenso fuoco di artiglieria contro Bureij, Nuseirat, Maghazi e Khan Younis. Israele sostiene di aver ucciso decine di combattenti di Hamas a Gaza City e di aver distrutto a Beit Lahiya due edifici utilizzati come centri di comunicazione dall’ala armata del movimento islamico. Le prime vittime delle bombe però restano i civili. Un video diffuso ieri dalla Mezzaluna rossa mostra un bambino minuscolo e coperto di polvere portato all’ospedale Nasser di Khan Yunis con gli infermieri che urlano «È vivo, respira ancora».  Un giornalista della tv Al-Quds è stato ucciso insieme ad alcuni membri della sua famiglia in un attacco aereo a Nuseirat. Sono oltre 100 gli operatori dell’informazione palestinesi uccisi dal 7 ottobre. Tre fratelli – Sobhi, Sady e Ibrahim Yassin – arrestati da Israele, quindi liberati dopo quasi un mese e rientrati a Gaza, denunciano di essere stati picchiati, spogliati fino alle mutande e sottoposti a torture e maltrattamenti durante la detenzione. Sohbi ha detto che quattro persone lo hanno picchiato con violenza dopo che non era riuscito a salire su un camion: «Fumavano e spegnevano le sigarette sulla nostra schiena, ci spruzzavano addosso sabbia e urina».

I bombardamenti hanno distrutto palazzi, strade, fabbriche e reso non operativi gran parte degli ospedali. Una indagine svolta dal Wall Street Journal rivela che circa il 70% degli edifici di Gaza è stato distrutto o danneggiato in 85 giorni di bombardamenti. Il ministero della Cultura palestinese ieri ha denunciato che gli attacchi israeliani hanno colpito anche uno stabilimento balneare di epoca medievale. La storica Moschea Grande è stata colpita all’inizio della guerra. Hamas e il Jihad islami affermano che i loro combattenti ieri hanno distrutto e danneggiato diversi carri armati e mezzi di trasporto israeliani in agguati in tutta Gaza. E di aver sparato colpi di mortaio contro le forze israeliane a Khan Younis e Al-Bureij. L’esercito israeliano ha ammesso altre due perdite tra i suoi soldati, in totale sono 172 dal 20 ottobre. Il Fronte popolare (Fplp, sinistra) ha comunicato che un militare israeliano suo prigioniero è stato ucciso in un attacco aereo.

Risale la pressione sul governo Netanyahu. Ieri molte migliaia di israeliani hanno manifestato prima a Cesarea e poi a Tel Aviv per chiedere passi concreti del gabinetto di guerra per riportare a casa i 129 ostaggi che ancora restano nelle mani di Hamas e per invocare l’allontanamento dal potere del premier ritenuto il primo responsabile del fallimento di sicurezza del 7 ottobre. I manifestanti hanno alzato cartelli con al centro l’impronta di una mano insanguinata e la parola «Colpevole». Ieri sera Benny Gantz, ministro e membro del gabinetto di guerra, si è rifiutato di tenere una conferenza stampa con Netanyahu definendola non necessaria. Secondo alcuni il primo ministro punterebbe su una maggiore visibilità e sull’immagine di comandante militare nella speranza di recuperare i consensi perduti.

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