Il Washington Post rivela che la Dia americana ha messo in guardia Israele da un attacco contro Hezbollah, i miliziani filoiraniani del Libano. Dividerebbe le forze tra Gaza e il fronte Nord, dicono gli esperti, esporrebbe le città israeliane ai potenti missili balistici di Hezbollah, causerebbe tra le 300 e le 500 mila vittime libanesi e spingerebbe quindi l’Iran a reagire. Gli Stati Uniti si troverebbero coinvolti su diversi quadranti contemporaneamente, cosa che eviterebbero volentieri.

La decisione di Israele, ieri, è stata di attaccare su tre fronti diversi. Il primo raid proprio in Libano uccidendo con un missile di precisione un importante comandante militare delle forze speciali di Hezbollah. È il secondo omicidio mirato dopo quello dell’alto esponente di Hamas a Beirut. Altri due attacchi tra Siria e Iraq contro milizie filoiraniane. «Un’ondata senza precedenti» secondo le fonti di Reuters. Sarebbe una «fase nuova» della guerra, più precisa, ma se non è una provocazione, ci somiglia.

Netanyahu è in difficoltà su tanti fronti, oltre a quello giudiziario. Deve trovare una soluzione per i 70/80 mila israeliani che sono fuggiti dal confine col Libano per evitare le bombe di Hezbollah. Vuole creare una zona cuscinetto dove Hezbollah non abbia più accesso. Sarebbe l’applicazione della Risoluzione Onu 1701, ma gli Usa pensano di arrivarci con negoziati, non con le bombe. Una prima risposta positiva è arrivata dal ministro degli Esteri libanese Abdallah Bou Habib. «L’esercito regolare è pronto a disarmare Hezbollah, ma Israele deve ritirarsi dalle aree occupate e interrompere ogni violazione della nostra sovranità nazionale». Secondo gli Usa, Hezbollah non vuole una guerra aperta. Potrebbe accettare di ritirarsi in cambio di un riconoscimento politico e aiuti economici, ma tratterà solo dopo il cessate-il-fuoco a Gaza. Nel frattempo mostra i muscoli: un suo missile ha gravemente danneggiato una base aerea israeliana.

L’Europa è sulla stessa lunghezza d’onda americana. Il rappresentante per gli affari esteri dell’Ue Josep Borrell si è unito a Blinken in Arabia Saudita per prevenire l’espansione del conflitto e il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha inaugurato l’anno di presidenza italiana del G7 «lavorando con Israele a una rapida uscita dalla fase militare».