Questa sera il papa varcherà la Porta Santa nella basilica di San Pietro, dando inizio al Giubileo del 2025, in un clima molto diverso da quello del 2000.
Varcare quella soglia nella notte di Natale 1999 significava missione compiuta, il raggiungimento della missione per Giovanni Paolo II che aveva inaugurato il suo pontificato il 22 ottobre 1978 invitando la cultura, l’economia, la politica, ad «aprire, anzi, spalancare le porte a Cristo».
Il papa polacco lasciò il testimone alle giovani generazioni, in una notte di estate nella spianata di Tor Vergata: «In quest’alba del terzo millennio vedo in voi le “sentinelle del mattino”. Nel corso del secolo che muore, giovani come voi venivano convocati in adunate oceaniche per imparare ad odiare, a combattere gli uni contro gli altri. Oggi siete qui convenuti per affermare che nel nuovo secolo voi non vi presterete ad essere strumenti di violenza e distruzione».
Un quarto di secolo è lecito chiedersi che fine abbiano fatto le sentinelle. L’odio scorre indisturbato. Le posizioni sono radicalizzate. Le adunate oceaniche si riuniscono oggi non nelle piazze ma sui social, «la massa aperta che accoglie ogni cosa, ma proprio perché accoglie ogni cosa si disgrega e si capovolge nel suo opposto, la massa chiusa» vista profeticamente da Elias Canetti in Massa e potere (1960).
La crisi della democrazia
La porta si apre stanotte in un tempo di crisi. «Francesco è stato il primo papa a confrontarsi con un fenomeno nuovo: la crisi della democrazia», ha detto il cardinale Matteo Zuppi la settimana scorsa, ricordando gli ottant’anni del radiomessaggio di Pio XII del Natale 1944.
La crisi della democrazia sembra coincidere con la crisi della fede nell’Occidente, egemonizzato dai sovranismi, e in Italia, che per la Chiesa è da sempre il laboratorio e il campo di battaglia, in cui si combatte contro lo Stato liberale, e poi contro il comunismo e infine contro il relativismo etico, durante la breve stagione ratzingeriana. Con risultati contraddittori sul piano politico, ma di certo controproducenti sul piano religioso e ecclesiale.
Come dimostrano i numeri del Censis e dell’Istat, il crollo nell’ultimo ventennio della pratica religiosa di cui ha scritto Roberto Volpi (“La Lettura” del Corriere della Sera, 22 dicembre), con la sottolineatura sorprendente di una maggiore tenuta dei credenti praticanti nei grandi centri urbani rispetto alle periferie e ai piccoli centri. Quasi che ci sia una fede Ztl, speculare alla politica.
La Chiesa in prima linea
Oggi la Chiesa in Italia prova a difendere la democrazia dalla sua crisi, che è prima di tutto una crisi etica, per affrontare anche la crisi della fede, che ha la stessa matrice: individualismo, guerra tra poveri, culto del più forte. È il contesto in cui si muovono le iniziative più interessanti degli ultimi mesi, di vario segno.
C’è la fondazione vaticana Fratelli Tutti, presieduta dal cardinale francescano Mauro Gambetti e diretta dal gesuita Francesco Occhetta, che ha promosso il 14 dicembre una giornata di lavoro sulla carità politica con Romano Prodi come relatore. C’è il lavoro promosso da Francesco Russo, ex senatore Pd, vice-presidente del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia, la rete di Trieste che raccoglie gli esponenti cattolici negli enti locali: dopo la settimana sociale nella città giuliana in estate ci sono stati appuntamenti a Roma, Napoli e Milano, in vista di un incontro nazionale per i primi mesi del 2025.
C’è la ripresa delle scuole di politica in alcune diocesi italiane. C’è un nuovo protagonismo sociale della Chiesa di Roma, con il neo-vicario cardinale Baldo Reina. L’obiettivo, per ora, è la ripresa della formazione politica e civile dei laici credenti, la grande assente di questi due decenni in cui i cattolici sono andati a ingrossare prima l’elettorato anti-politico e ora l’esercito del non-voto.
Con la parola-chiave della ricucitura, opposta alla spaccatura. Ma siamo molto lontani da un impegno diretto in politica, come si è ipotizzato a proposito di un nuovo centro cattolico, di cui dovrebbe essere federatore Ernesto Maria Ruffini.
Trent’anni fa, nel 1995, al momento dell’ingresso in politica di Romano Prodi e della nascita dell’Ulivo, era già pronta una rete di comitati locali, riviste diocesane, associazionismo. L’Ulivo significava superare la divisione tra centro e sinistra, ma anche tra laici e cattolici. E non fu un’operazione di vertice. Trent’anni dopo non si torna indietro. Varcare la soglia, stanotte, significa anche imparare a stare nel tempo nuovo, senza paura.