CHRISTO Selected Works
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15 Agosto 2023Rincari e furbizie
di Gian Antonio Stella
«L’Italia è un dono degli Dei. Da amare, da rispettare, da onorare», ha scritto in un tweet (in corretto italiano) Russell Crowe, che diventò immensamente famoso col film Il Gladiatore . Parole d’oro. Perché il nostro Paese è stato davvero baciato dalla buona sorte sotto il profilo paesaggistico, artistico, monumentale e, fino a qualche tempo fa, anche climatico. Ma noi italiani l’abbiamo amato, rispettato, onorato come meritava?
Diciamolo: non sempre. Anzi, troppe volte la sciatteria, il pressappochismo, gli egoismi più gretti hanno fatto disastri tali da spingere già Indro Montanelli a perdere la pazienza: «L’Italia sarà, come dicono, la “culla dell’arte”. Ma in questa culla sgambettano i più biechi assassini del paesaggio. Sempre per quella smania di star tutti attruppati, il cemento travolge l’erba e sommerge le più belle valli e i più pittoreschi litorali». Cosa sia successo, sessant’anni dopo, è sotto gli occhi di tutti. Eppure, nel mondo, continuano a essere pazzi di noi. E non ce lo dicono solo le cronache estive che sventolano foto di Jennifer Lopez e Robert De Niro, Jeff Bezos e Bill Gates e video con Magic Johnson, Michael Jordan e Samuel Jackson che cantano Volare, ma anche tabelle come quella di Bloom Consulting Country Brand Ranking 2022/23 sul valore del nostro «marchio». Che ci vede secondi dopo la Spagna (ma a pari punti) davanti a Usa, Germania, Regno Unito, e gli altri (Francia compresa), dopo aver recuperato 5 posizioni sull’anno precedente.
M erito di Mario Draghi o prima ancora di Giuseppe Conte, visto che i dati si riferiscono al 2021? Sia come sia, una cosa è certa. In un momento di netta ripresa del turismo mondiale con 963 milioni di viaggiatori dopo il tracollo dovuto al Covid (-34,3% a livello globale) l’Italia è in prima fila. E sarebbe davvero un peccato perdere l’occasione di tornare agli antichi fasti del 1970, quando eravamo il Paese più visitato al mondo dagli stranieri. Possibile? Non è facile: è cambiato tutto. Ma la ricchezza del nostro patrimonio paesaggistico, culturale, gastronomico è tale da consentirci di fare di tutto per cogliere l’occasione.
Purché la si smetta di fare sempre gli stessi errori. Primo fra tutti, fatale, quello di pensare di essere gli unici al mondo a possedere dei tesori. Un’idea sballata («Se vonno vede ‘a civiltà de qua devono passà…» per dirla alla romana) montata nei decenni al punto da spingere Silvio Berlusconi a dire in uno spot poi soppresso che l’Italia ha «il 50% dei beni artistici tutelati dall’Unesco» o l’attuale assessore alla Cultura siciliano Francesco Paolo Scarpinato ad andare ancora oltre: «Il 25% dei beni culturali al mondo è nella nostra regione…». Non è così. Ovvio. La coscienza della Grande Bellezza italiana non ha bisogno di sparate: ha bisogno di cura. Manutenzione. Investimenti.
Così come la stragrande maggioranza di operatori seri impiegati nell’industria del turismo, che nonostante la perdita traumatica di oltre 200 mila posti dovuti alla pandemia dà lavoro secondo il World Economic Forum a 2.641.000 addetti diretti (poi c’è l’indotto), non meritano di finire in prima pagina, come è successo, per piccole furbizie d’ingordigia come i 2 euro di supplemento per un «piattino per la condivisione» in Liguria o gli altri 2 euro per il toast tagliato a metà sul Lago di Como. Men che meno per certi rincari in stabilimenti balneari più o meno famosi che, dopo l’aumento del canone demaniale minimo da 2.698,75 a 3.377,50 euro l’anno(fonte: mondoBalneare.com) si sono sentiti in diritto di rifarsi sui clienti sparando per l’affitto di un ombrellone e due sdrai cifre mai viste prima. Per non dire dei «500 euro al giorno per una tenda con due lettini, teli mare di Louis Vuitton» all’«Alpemare» di Forte dei Marmi o delle famose «capanne, in prima fila centrale, al Lido di Venezia» schizzate nel prezzo fino a 515 euro al giorno.
Certo, parliamo di bagni elitari dove, per dirla con una vecchia battuta di Sophia Loren, «se chiedi il prezzo vuol dire che non te lo puoi permettere». Ma i rincari di questa estate riguardano un po’ tutti i luoghi della tradizionale villeggiatura italiana, dal mare alla montagna, dai laghi alle città d’arte. E hanno spinto gli italiani ad accorciare le ferie su misura delle proprie entrate e il rapporto qualità prezzo. E se fino a poche settimane fa c’era un diffuso ottimismo (una cronaca fra le tante: «Questo 2023 potrebbe essere l’anno migliore di sempre per il turismo siciliano. I dati parlano infatti di un incremento dell’1,5% delle presenze rispetto al 2019 che era considerato l’anno dei record, oltre a essere l’ultimo pre-Covid. Un successo strepitoso che fa del comparto turistico…») i dati di agosto, compreso il post ironico ed esultante del premier albanese Edi Rama con le vecchie navi stracariche («1991 – Albanesi partono per l’Italia / 2023 – Italiani partono in ferie per l’Albania») han fatto capire che no, neanche quest’anno probabilmente si tornerà alle vacche grasse precedenti il Coronavirus…
Certo, sospirano un po’ tutti gli operatori, sono tempi complicati: prima il Covid, poi l’invasione e la guerra in Ucraina che ha spazzato via quelli che erano diventati i clienti migliori o almeno i più spendaccioni come i russi, poi ancora l’alluvione in Romagna su quel litorale dove la stessa demolizione della storica discoteca Paradiso di Rimini segna la fine dell’epoca dei «divertimentifici»… Di più: l’alluvione romagnola è stata solo la tragedia più grande e vistosa di una estate marcata come mai prima da una svolta climatica, le bombe d’acqua, le frane, i gommoni dei pompieri nelle piazze allagate, i raccolti agricoli al macero e insieme il caldo infernale, gli anziani uccisi dall’afa, le foreste in fiamme, le fontane di Roma prese d’assalto da turisti stremati, che minacciano un futuro pieno di incognite. Contro le quali non serve polemizzare come il compagno di Giorgia Meloni stizzito in tivù col ministro tedesco («Se non ti sta bene stai a casa tua. Stai nella Foresta Nera, no?») ma urgono scelte politiche assai diverse dal taglio di 16 miliardi del Pnrr per i progetti di contro i rischi idrogeologici.
Ultimo appunto. Viva gli stranieri che affollano i nostri alberghi, i nostri campeggi, le nostre trattorie, i nostri musei… Ossigeno, per la nostra economia. Ma ce li meritiamo? Certo non se li merita chi in questi anni, dal primo all’ultimo ministro del turismo, ha esposto l’Italia a essere svillaneggiata per le ricette suggerite ai turisti tedeschi in siciliano stretto del «cunigghiu a’ stimpirata» senza sottotitoli e le traduzioni automatiche sballate. Un errore di catastrofica ridicolaggine rifatto uguale identico pochi mesi fa. Dice tutto un confronto: per attirare i turisti di tutto il mondo sapete quante lingue usa il portale turistico spagnolo? Nove. Quello norvegese? Undici. Quello francese? Diciotto. Il nostro Italia.it? Tre: italiano, inglese, spagnolo. Fine. In compenso la Venere del Botticelli ammicca in bicicletta accanto al Colosseo in un giardino coi cipressi.