Nella sua trasmissione Forrest, su Radio1, spesso Luca Bottura annuncia un collegamento con la sede del Pd per conoscere la linea del partito sui temi di giornata. Seguono alcuni secondi di silenzio. E tutte le volte fa ridere uguale.
Sui giornali e in televisione, quel silenzio viene riempito da una cascata di parole e formule in politichese che però non hanno un contenuto molto diverso.
In estrema sintesi, tutte le posizioni in campo si riassumono nella consapevolezza che il Pd così com’è non va bene e che bisogna cambiarlo, ma prima bisogna scegliere un’identità, o almeno una cultura politica di riferimento.
Se il Pd fosse un prodotto e l’azienda che lo vende non avesse un’idea del perché qualcuno dovrebbe comprarlo, forse farebbe meglio a ritirarlo dal mercato.
Non ripeterò per l’ennesima volta l’auspicio di uno scioglimento del Pd per salvare la sinistra da questo tappo che ne impedisce ogni evoluzione: siamo già oltre, in privato e in pubblico, ormai, i suoi stessi dirigenti lavorano per preparare scissioni, rotture, diluizioni. Non ci saranno esplosioni, ma divorzi consensuali.
D’altra parte, il Pd è un partito che non riesce a esprimere posizioni comprensibili su alcun tema rilevante, come ha ricordato qui Piero Ignazi, ma investe moltissime energie per discutere in pubblico delle proprie regole e fazioni interne.
Elly Schlein, che ambisce a un ruolo di leadership ma è esterna all’attuale gruppo dirigente, si è già uniformata allo stile della casa: è ambigua perfino sulla sua volontà di candidarsi alla segreteria, sta con gli ucraini ma è anche scettica sull’invio di armi, ambientalista ma anche pragmatica, belle le infrastrutture sociali ma chissà cosa sono e come si finanziano.
La nuova generazione di leader si annuncia uguale alla precedente.
Questa non è coerenza, è una forma di sadismo nei confronti di quei 5 milioni di elettori rimasti al centrosinistra, che sono pochi, d’accordo, ma meriterebbero qualcosa di meglio.
Gli ultimi due mesi hanno dimostrato che senza una coalizione larga il centrosinistra perde sempre e che questa destra guidata da Giorgia Meloni mette davvero a rischio le libertà democratiche protette dalla Costituzione.
Eppure, gli unici risultati del Pd post-voto sono lo sfaldamento dell’alleanza con i Cinque stelle nel Lazio, che andrà alla destra, e la mancata intesa con il Terzo polo in Lombardia sul nome di Letizia Moratti, col risultato di lasciare la regione più ricca d’Italia alla destra più deteriore invece che sfrattarla e governare al prezzo di farlo con un ex-centrodestra come Moratti.
L’inconsistenza di questo Pd finora è stata un problema soprattutto per il centrosinistra e i suoi elettori. Con questa destra al governo inizia a diventare un problema per il paese.