
New Order – Bizarre Love Triangle
21 Novembre 2025
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21 Novembre 2025C’è un momento, nella vita delle istituzioni, in cui il linguaggio rivela più delle scelte concrete. È il caso della “delega alla Felicità” annunciata da Eugenio Giani nella nuova giunta regionale toscana: un titolo che sembra uscito da un laboratorio di comunicazione più che da una visione di governo. E tuttavia non è un gesto folcloristico; è un sintomo.
Il presidente ha scelto di presentare il nuovo assetto di Palazzo Strozzi Sacrati come un orizzonte simbolico, immaginando la Toscana come terra “Felix”, erede degli ideali del Settecento americano e delle aspirazioni universali di Filippo Mazzei. Ma questa sovrabbondanza retorica, più che raccontare una strategia, tradisce un vuoto: l’incapacità della politica regionale di misurarsi con ciò che davvero genera felicità nelle persone.
Perché la felicità, quando la si osserva da vicino, non è un obiettivo amministrativo ma un movimento interiore. È un intreccio di sicurezza, dignità, possibilità. E soprattutto è speranza: la percezione che il domani possa essere migliore di oggi. Su questo punto, la filosofia del Novecento ci ha lasciato una lezione preziosa. Ernst Bloch, nel Principio Speranza, ricordava che la felicità non è mai un possesso, ma un’anticipazione: nasce quando gli individui intravedono un possibile, anche minimo, cambiamento della propria vita. La speranza è il suo fondamento, la sua precondizione. Senza speranza, la felicità è un artificio; con la speranza, diventa un lavoro quotidiano, fragile ma reale.
Ed è proprio questa dimensione che una delega non può creare. Non si può decretare la speranza per via istituzionale. La si costruisce garantendo servizi che funzionano, infrastrutture che collegano, una sanità pubblica che cura, opportunità di lavoro e di sviluppo che non costringano intere aree a sentirsi periferie. È in queste condizioni materiali che la speranza trova terreno per germogliare e che la politica mostra la sua utilità.
In questo contesto, un titolo evocativo potrebbe diventare un punto di partenza, un invito implicito a colmare ciò che ancora manca davvero: la costruzione di una prospettiva concreta capace di restituire fiducia e orizzonte ai cittadini.
Eppure la parola “felicità”, se presa sul serio, porta con sé un’indicazione preziosa. Non chiede slogan, chiede impegno. Non chiede retorica, chiede fiducia. La felicità non è un dato ma un cammino; e il primo passo di ogni cammino, come ricorda Bloch, è sempre un atto di speranza: la capacità di vedere nel presente una crepa attraverso cui passa il futuro.
Forse sarebbe bastato partire da qui: dal riconoscere che la Toscana, per essere davvero “Felix”, deve ricostruire le condizioni della speranza. Speranza nel lavoro, nell’innovazione, nei servizi, nella giustizia sociale, nella possibilità di vivere senza sentirsi ai margini. La speranza, quella vera, non nasce da un comunicato stampa ma da scelte che cambiano la vita delle persone.
È da lì che passa la felicità. Non dall’enunciarla, ma dal renderla possibile.





